Ted Chiang (foto di Alan Berner)

Il Foglio Innovazione

L'ottimismo della ragione fantascientifica

Antonio Dini

A colloquio con Ted Chiang su perché il futuro non è solo distopia

Se l’economia è la “scienza triste”, la fantascienza dovrebbe essere “l’arte catastrofica”. Il neologismo italiano composto da “fantasia” e “scienza”, creato nel 1952 da Giorgio Monicelli per presentare la collana “I Romanzi di Urania” ma nato nel 1926 negli Stati Uniti grazie a Hugo Gernsback, è da sempre uno degli specchi della nostra società. Letteratura popolare basata sul romanzo scientifico ottocentesco, la fantascienza ha come tema di fondo l’impatto tra la tecnologia e gli individui, o l’intera società. Dalle storie di alieni che invadono il pianeta alle cronache dei vari dopobomba, la fantascienza si è però fatta la nomea di “arte catastrofica” o quantomeno fortemente pessimista. Ma è davvero così? “Non proprio –  dice al Foglio Innovazione lo scrittore americano Ted Chiang – In larga misura la fantascienza riflette gli atteggiamenti della società nei confronti della tecnologia”.

 

In periodi in cui le persone si sentono ottimiste sulla tecnologia, la fantascienza è ottimista. Nei periodi in cui le persone sono pessimiste, la fantascienza diventa pessimista. Penso che sia importante ricordare che la tecnologia ha sempre effetti sia positivi sia negativi, e personalmente sono interessato alle narrazioni che descrivono entrambe le parti”, continua Chiang.
Ted Chiang, nato nel 1967 a Port Jefferson (New York) da genitori cinesi, è probabilmente l’autore di fantascienza più famoso di cui non avete mai sentito parlare. Un po’ perché in Italia è tradotto in maniera quasi carbonara, lontano dai circuiti mainstream, benché da un suo racconto abbiano tratto il blockbuster “The Arrival”. E un po’ perché in trent’anni di carriera ha scritto “soltanto” 16 racconti e un romanzo breve. Che però gli hanno fatto vincere tutti i principali premi del settore. Più volte. Nel 2005 ha persino rinunciato a un premio Hugo (il Pulitzer del genere fantascientifico) perché riteneva che il racconto, pubblicato prima dell’ultima revisione, “non fosse ancora pronto”. “Di solito –  dice al Foglio Innovazione –  lavoro con un formato un po’ più lungo del racconto; la maggior parte delle mie storie è più vicina alla lunghezza della novella. E’ stato detto che la novella è la lunghezza ideale per la fantascienza, e sicuramente si adatta al mio approccio alla scrittura. Se sei interessato a esplorare una singola idea, una novella ti dà lo spazio di cui hai bisogno. Generalmente non si riesce a sostenere un romanzo su una singola idea: serve di più e questo significa essere meno focalizzati. Preferisco aprire con una premessa, esplorare alcune delle sue implicazioni e poi chiudere”.

 


La sua ultima raccolta di racconti, “Respiro”, è stata selezionata dal New York Times tra i dieci migliori libri del 2019


 

Come lettore di fantascienza Chiang ama scrittori molto diversi dal suo approccio al genere: il fluviale autore australiano Greg Egan, ad esempio, che ha pubblicato una dozzina di romanzi e un centinaio di racconti: “Mi piace il modo in cui estrapola dalla tecnologia attuale e drammatizza le domande filosofiche, e penso che meriti un pubblico più vasto”. Come autore, però, Chiang è completamente diverso e molto più misurato. E i risultati non mancano. Il suo fenomenale racconto “Il mercante e il portale dell’alchimista” nel 2007 ha fatto piazza pulita di premi, come pure “Respiro”, che dà il titolo all’omonima raccolta pubblicata da poco in Italia (editore Frassinelli, 2019) e che mette insieme la seconda parte delle sue opere. “Respiro”, in inglese “Exhalation”, è stato acclamato negli Stati Uniti. Per esempio, il New York Times l’ha selezionato tra i dieci migliori libri del 2019.

 

Chiang ha molte qualità, ma non è un esteta. Almeno non nel senso convenzionale del termine. E’ piuttosto un sognatore e un seduttore. “Non penso al mio lavoro in termini di bellezza, preferisco pensarci in termini di fascino”, dice. “La scrittrice Annie Dillard ha detto: ‘C’è qualcosa che trovi interessante, per un motivo difficile da spiegare. E’ difficile da spiegare perché non l’hai mai letto su nessuna pagina: inizi da lì. Sei stato creato per dare voce proprio a questo, il tuo stupore’. Penso che il mio lavoro di scrittore sia quello di descrivere le cose che trovo interessanti, in una maniera che fa sì che anche altre persone le trovino interessanti”. Se c’è un modo per caratterizzare le sue storie, il pessimismo non è certo una di queste. Casomai la precisione, un realismo scolpito nei minimi dettagli, la profonda empatia che ogni tanto porta a dolorose perdite. “Però –  dice Chiang –  non direi che il senso di perdita sia importante per me. Direi invece che avere una connessione con un altro essere significa che puoi entrare in empatia con la sua situazione, e questo include gli aspetti tristi tanto quanto quelli felici”.

 

Chiang è laureato in Informatica e per anni si è occupato di scrittura tecnica per l’industria del settore, ma non ritiene che questo lo caratterizzi come autore: “La mia familiarità con l’industria del software probabilmente mi ha aiutato con una storia che ho scritto, ma la maggior parte delle mie storie non ha nulla a che fare con computer o software. Sono profondamente interessato alla scienza, ma non ho un’istruzione formale nella maggior parte delle materie di cui scrivo; sono solo una persona qualunque che ama leggere libri”.

 


E’ suo il racconto da cui è tratto il blockbuster “The Arrival”. In trent’anni di carriera ha scritto soltanto 16 racconti e un romanzo breve


 

Un tempo parlare con uno scrittore di fantascienza avrebbe voluto dire parlare di futuro. Invece, oggi è diventata una occasione per interrogarsi sul senso del cambiamento che sta attraversando la nostra società: l’incontro con l’informatica e, soprattutto, con l’intelligenza artificiale (AI). Che erode i confini del mondo che conosciamo, generando paura. “Le persone temono l’AI perché temono la tecnologia, ma penso che sia fuori luogo. Quando le persone temono la tecnologia ciò che realmente temono è il modo in cui il capitalismo usa la tecnologia contro di noi. La tecnologia rende i lavoratori più produttivi e se i lavoratori raccolgono i benefici di quella maggiore produttività, tutto va bene. Ma troppo spesso il proprietario dell’azienda è l’unico che incassa, mentre i lavoratori vengono licenziati per ridurre i costi. Non è un risultato inevitabile della tecnologia”.

 

Sul grande tema di fondo della fantascienza, cioè l’incontro con l’altro, con l’alieno, Chiang è netto: “Non c’è modo di trasmettere qualcosa di veramente alieno; è per definizione incomprensibile. Forse proprio per questo non scrivo quasi mai di alieni. Preferisco scrivere a proposito di cose che sono simili a noi, anche se la somiglianza potrebbe non essere immediatamente evidente”. La non immediatezza porta a conseguenze logiche ma alle quali forse i lettori di fantascienza (e non solo) non sono abituati: “Gli animali sono come noi. Il software cosciente non deve necessariamente essere come noi, ma non penso che si svilupperà da solo. E se lo creiamo deliberatamente, l’unico modo per sapere se abbiamo successo è se lo rendiamo simile a noi. C’è una tendenza naturale a impegnarsi nella proiezione antropomorfa ma dobbiamo fare attenzione. Allo stesso modo, però, dovremmo anche diffidare della nostra tendenza a oggettivare qualsiasi cosa non ci assomigli, e questo include persone che sembrano diverse da noi”.

 

In definitiva, secondo Chiang la fantascienza serve. “La fantascienza è importante perché ci incoraggia a immaginare che il mondo sia diverso da quello che attualmente è. Chi è al potere vorrebbe farci credere che il modo in cui le cose sono adesso è l’unico modo in cui potrebbero essere. La fantascienza ci ricorda che le cose non devono essere così, e questo è un messaggio che rimarrà sempre fondamentale”.

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