L'autobiografia della figlia di Steve Jobs, che ha imparato ad amare il disumano
Il libro uscirà a inizio settembre negli Stati uniti, ma Lisa Brennan-Jobs non sia preso come un libro-verità sul fondatore di Apple ma come una storia di formazione
Roma. Lisa Brennan-Jobs è lo strumento che i biografi hanno usato per misurare l’umanità di Steve Jobs. Prima figlia naturale del fondatore di Apple, nata nel 1978, per anni Lisa fu disconosciuta e ignorata dal suo famosissimo padre. Sua madre, Chrisann Brennan, combatté una battaglia lunga e straziante per far riconoscere la bambina, che Jobs rifiutò di accettare come sua anche dopo che il test del dna aveva confermato la sua paternità. Ci vollero anni prima che Jobs riconoscesse e, infine, accogliesse Lisa, senza mai davvero considerarla parte della sua famiglia: nella sua biografia sul sito di Apple, Jobs scriveva di avere tre figli soltanto, quelli avuti dall’ultima moglie, Laurene Powell. Lisa, la primogenita, sarà sempre esclusa anche dopo il riconoscimento legale. Nelle biografie di Jobs, la figura di Lisa è la più sfuggevole – e da come viene trattata Lisa si capisce cosa pensa il biografo di Steve Jobs. In quella scritta da Walter Isaacson, best seller mondiale uscito nel 2011, Lisa è un personaggio minore, che prova rancore nei confronti del padre. Al contrario Aaron Sorkin, nel biopic antipatizzante diretto nel 2015, definisce Lisa “l’eroina” del film. Nessuno sa decidersi: Lisa è la prova della disumanità di Steve Jobs o della sua fragilità molto umana? All’inizio di settembre Lisa pubblicherà negli Stati Uniti la sua autobiografia, “Small Fry”, in cui Steve Jobs gioca una parte importante – e sembra che nemmeno lei sia riuscita a rispondere alla domanda.
Lisa vorrebbe che il suo libro – di cui è uscita ad agosto un’anticipazione su Vanity Fair e di cui Lisa in persona parla diffusamente in un’intervista molto lunga sul New York Times – non sia preso come un libro-verità sul fondatore di Apple ma come una storia di formazione di una giovane donna in California. Lisa ha perdonato Steve Jobs, è scesa a patti con i demoni della sua infanzia, e il libro è pieno di momenti in cui Steve Jobs si mostra padre affettuoso. Tuttavia, hanno notato tutti i recensori, molto di più risaltano i momenti in cui Jobs è freddo, insensibile, disumano. C’è il racconto di quando Jobs, ormai morente di cancro, accoglie Lisa che lo era andato a trovare dicendole: “Puzzi come un cesso” (lei ha scritto su Twitter: “Per la cronaca: puzzavo davvero come un cesso”). Il racconto di quando Jobs si rifiuta di installare il riscaldamento in camera sua d’inverno. Di quando lei, ragazzina infine riconosciuta dal padre, si trasferì in casa Jobs, che le impedì di vedere sua madre per sei mesi. Ci sono episodi in cui Jobs si comporta in modo sgradevole, quasi ai limiti della molestia. Volte in cui invita una squattrinata Lisa al ristorante, mangia e poi se ne va lasciando a lei il conto. Jobs chiamò uno dei primi computer di Apple “LISA”, in onore di sua figlia, ma quando lei gli chiese se davvero aveva fatto quel gesto così affettuoso lui rispondeva crudelmente di no.
Nell’intervista al New York Times, Lisa giustifica questi comportamenti. Dice che fanno parte della personalità di un genio che sembrava dimenticare come si ama ma era capace di gesti di affetto infinito. E per tutte le volte che si è chiesta perché Jobs sia stato duro con lei più che con gli altri figli e abbia dedicato a loro più cure, soldi e attenzioni, si risponde che è grata anche davanti all’ingiustizia, perché imparare ad amare Steve Jobs significava imparare ad amare anche il disumano.
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