STEVE JOBS

Mariarosa Mancuso

     

    Anche Aaron Sorkin ha un cuore, non l’avremmo mai detto. Lo esibisce nella sceneggiatura di “Steve Jobs”. Guastando la sceneggiatura di “Steve Jobs”, per essere precisi: le scene che appesantiscono il film, e verso la fine tendono alla didascalia, riguardano Lisa, la figlia di cui il fondatore della Apple disconobbe platealmente la paternità. In un’intervista a Time, calcolò che il 26 per cento degli americani avrebbe potuto (per questioni di Dna, suvvia, non state a pensar male) ingravidare la sua ex fiamma Chrisann Brennan. E’ lo stesso Aaron Sorkin a confessare la debolezza, in un articolo uscito sul New York Magazine: tre lezioni di sceneggiatura per illustrare come funziona questo film. La prima dice “Metti al centro della storia che vuoi raccontare il tuo problema con la storia che vuoi raccontare”. Il problema di Sorkin con la vita di Steve Jobs (dalla biografia di Walter Isaacson, autorizzata e anzi commissionata da Mr Apple quando già era malato) è il malmostoso trattamento riservato alla figlia. Sorkin non riesce ad accettarlo, quindi gli riserva un posto d’onore, anche quando lo spettatore vorrebbe che le questioni di paternità non facessero ombra al resto del film (Lisa ha accettato di parlare con lui, dopo essersi rifiutata di incontrare il biografo ufficiale, quindi bisogna ringraziare sfruttando ogni dettaglio). Levata questa debolezza, “Steve Jobs” è un potente dramma in tre atti articolato attorno al lancio di altrettanti prodotti: il Macintosh (nel 1984, “perché il 1984 non sia un 1984” diceva lo spot), il NeXT (nel 1988, quando Steve Jobs era stato cacciato dalla sua Apple), l’iMac colorato e traslucido del 1998. Litigi, perlopiù, e sempre tra le stesse persone: Steve Wozniak, co-fondatore della Apple convinto che il proprio talento fosse più prezioso delle visioni di marketing; Joanna Hoffman, braccio destro e punchingball come tutti; John Sculley che Jobs aveva voluto come amministratore delegato della Apple (e che dalla Apple lo cacciò: questa è la storia di un re che va in esilio e torna più forte). Siccome l’altra lezione di sceneggiatura di Aaron Sorkin dice “Quando fai litigare due persone, fai in modo che entrambe abbiano ragione”, le scene si fanno ammirare per l’intelligenza, il brio, la perfidia, i dispetti e gli scatti di rabbia.