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Influencer in bolla

Eugenio Cau

Twitter cancella decine di milioni di account fasulli e dà un colpetto all’economia del fake

Roma. Twitter ha cominciato ieri a cancellare dall’elenco dei follower dei suoi utenti “decine di milioni” di account “chiusi”, un’operazione che andrà avanti per giorni e che, alla fine, dovrebbe ridurre il numero dei follower degli utenti di un sei per cento in media. Molti account famosi hanno già ridotto il numero dei loro follower: Donald Trump, che ha 53 milioni di seguaci, ne ha persi 100 mila, Barack Obama, che ne ha 104 milioni, ne ha persi 400 mila. Twitter aveva già annunciato la settimana scorsa di aver sospeso 70 milioni di account “sospetti”, vale a dire bot che producono spam (i bot sono account automatici che ritwittano o postano messaggi prestabiliti; a volte sono utili, come i bot delle allerte sismiche, ma quasi sempre contribuiscono ad amplificare messaggi spazzatura), i troll e gli account fake.

  

Gli account “chiusi” che riguardano l’operazione di ieri sono una specie leggermente diversa, che si sovrappone soltanto in parte con bot, troll e fake. Sono account in cui Twitter ha individuato un comportamento anomalo (tante segnalazioni da parte di altri utenti, ondate di tweet abnormi) e a cui da tempo ha ridotto la facoltà di interagire sul social. Sono account “chiusi”, appunto, che però ingrossavano ancora i conteggi dei follower. Twitter ha detto che, trattandosi di account già inabilitati, la loro eliminazione dai conteggi non avrebbe influito sul numero degli utenti attivi, termine di paragone dello stato di salute dell’azienda. Nonostante questo, negli ultimi giorni il titolo in Borsa è andato maluccio, gli investitori hanno temuto che nonostante tutte le precauzioni i numeri di utenti di Twitter caleranno alla prossima trimestrale. Il comportamento dei mercati è sintomatico: la Borsa, almeno sul lungo periodo, preferisce che Twitter sia gonfio di account fasulli, bot e spammatori di fake news ma che i numeri complessivi siano belli rigogliosi, piuttosto che avere un social network più sano (per gli utenti e per la democrazia) ma un po’ dimagrito.

  

Questo atteggiamento ci dice due cose. Uno: il modello di giudizio del valore dei servizi internet come Twitter o Facebook è completamente fuori fuoco. Due: intorno ai social network circola una clamorosa economia del fake, che come tutto fa pil. Che per pochi soldi si possano comprare migliaia e migliaia di utenti, commenti, retweet, cuoricini e like su qualsiasi social è risaputo. Su alcuni di questi social, come per esempio Twitter, si usano account falsi per ragioni di politica e prestigio: aumentare i propri follower serve a ottenere autorevolezza, mentre avere eserciti di bot che ritwittano ed elogiano nelle risposte contribuisce a deviare il discorso verso i propri temi o i propri annunci pubblicitari. E’ su Instagram, tuttavia, che girano i soldi veri. Instagram è terreno di caccia di centinaia di migliaia di aspiranti influencer, che sperano di percorrere la strada di Chiara Ferragni e delle altre star da social: aziende che ti mandano prodotti da recensire, che ti invitano a viaggi di lusso, che ti propongono partnership e sponsorizzazioni.

  

Finora le aziende sono state abbastanza generose: basta avere qualche decina di migliaia di follower e si viene contattati facilmente – magari non da una multinazionale, ma da una fabbrichetta o da un’associazione sì – per sponsorizzazioni sul proprio profilo. Molti, così, sperano di spianarsi la strada per il successo usando gli account automatizzati. Le aziende che forniscono questo tipo di servizi sono furbe. Non usano i bot per aumentare il numero dei follower del cliente (Instagram se ne accorge) ma, per esempio, usano sistemi di automazione per fare in modo che il cliente dia il suo follow a migliaia di altri utenti di Instagram. Questi, vedendo che qualcuno li segue, probabilmente ricambieranno il follow, e così l’utente aumenta le sue statistiche. Le aziende offrono anche servizi per de-followare i profili seguiti nella prima fase dell’operazione, così da avere il proprio account immacolato. Se la descrizione vi sembra contorta è perché il procedimento è davvero stato pensato per complicare i passaggi e rendere difficile farsi scoprire. Potremmo andare aventi ancora con molti social. Su YouTube, per esempio, gli youtuber comprano commenti positivi e like ai loro video per aumentare la propria importanza e ingannare l’algoritmo (a volte li comprano negativi per i video degli altri). Insomma, tutti sanno che i social sono pieni di fake (tra il 5 e il 10 per cento, a seconda delle stime), e bisognerebbe iniziare a chiedersi: e se gli influencer fossero una bolla? 

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  • Eugenio Cau
  • E’ nato a Bologna, si è laureato in Storia, fa parte della redazione del Foglio a Milano. Ha vissuto un periodo in Messico, dove ha deciso di fare il giornalista. E’ un ottimista tecnologico. Per il Foglio cura Silicio, una newsletter settimanale a tema tech, e il Foglio Innovazione, un inserto mensile in cui si parla di tecnologia e progresso. Ha una passione per la Cina e vorrebbe imparare il mandarino.