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Twitter è in preda a una follia rabbiosae politicamente corretta

Micol Flammini

Assunto dall’Atlantic e licenziato dopo tre giorni. Il conservatore Kevin Williamson racconta come il pensiero dominante sta rovinando il giornalismo

"Dove appaiano i miei scritti non è davvero importante, non è una domanda rilevante. Quello che conta è come il tribalismo alimentato dalla rabbia dei social media, specialmente Twitter, abbia infettato le pagine degli editoriali e, in parte, il resto del giornalismo. Twitter si basa sull’offerta di marchi di affiliazione o emarginazione. La sinistra urla Razzisti e la destra urla Fake news. Non c’è molto che io possa fare in proposito se non trattare i social media con il basso riguardo che meritano. Ma quando si tratta di cosa appare nei nostri giornali o riviste, le vecchie regole dovrebbero ancora contare: lavorare, fare domande, dare ai lettori una ragione per ritenere che ciò che viene pubblicato abbia qualche fondamento di onestà intellettuale”.

  

Così Kevin D. Williamson chiude l’articolo apparso sul Wall Street Journal per raccontare le vicende che lo avevano portato a essere assunto e poi licenziato dall’Atlantic nel giro di tre giorni. A inizio marzo a una conferenza sponsorizzata dalla rivista a Austin, il giornalista della National Review si era incontrato con Jeffrey Goldberg, il direttore dell’Atlantic che lo aveva appena assunto portandolo via dalla National Review, il magazine conservatore in cui Williamson aveva lavorato per 10 anni. “Sai, la campagna per farmi licenziare inizierà 11 secondi dopo che avrai annunciato la mia assunzione”, dice il giornalista al suo nuovo direttore, che sorridendo, risponde: “Non andrà così male, l’Atlantic non è il New York Times, non è una cattedrale dei liberal”. Williamson scrive il suo primo articolo il 2 aprile e il 5 viene licenziato. “La motivazione non aveva nulla a che fare con il mio pezzo inaugurale. Il problema era un tweet di sei parole e vecchio quattro anni sull’aborto e la pena capitale”. “A scanso di equivoci – scrive Williamson – l’aborto non è come buttare la spazzatura, o fare una frode finanziaria, o guidare a 57 miglia all’ora in un posto dove il limite è 55. Se non è un omicidio, allora non è moralmente più significativo del farsi togliere un dente. Se l’aborto non è un omicidio, allora non ci sono nemmeno reali argomenti per proibirlo. Ma se è omicidio, dobbiamo discutere più seriamente su cosa potremmo fare per mettervi fine. In tutto il chiacchiericcio odierno sulla diversità di opinioni e la necessità di un discorso aperto, non sento molte persone, tra i pro choice che siano disponibili a parlare candidamente della realtà dell’aborto”.

 

L’incontro tra Williamson e Goldberg era proprio avvenuto durante un panel sponsorizzato dall’Atlantic sulla diversità nel giornalismo e sui punti di vista marginalizzati dalla società. “I relatori, tutti scrittori e redattori dell’Atlantic, sostenevano che i circoli del potere culturale ed economico sono tutti uniti contro le femministe e contro i sostenitori degli interessi delle minoranze – continua il giornalista – il panel era sponsorizzato da Google, Pepsi, AT&T, NbcUniversal, Facebook, Ubs, JPMorgan Chase e Deloitte. Oh, vorremmo tutti essere così emarginati. Se desiderate davvero sapere chi ha realmente il potere nella nostra società e chi è veramente emarginato, chiedetevi quali idee riescono a farsi sponsorizzare da Google o Pepsi e quali invece ti fanno licenziare”. Il 22 marzo, l’Atlantic aveva annunciato che avrebbe assunto Williamson e altre tre persone come collaboratori di una nuova sezione. “Tempo zero, il gruppo a favore dell’aborto Naral stava già organizzando proteste contro di me, chiedendo all’Atlantic di impedirmi di pubblicare. Gli attivisti affermavano, disonestamente, che io volevo vedere un quarto delle donne americane linciate (una donna su quattro in America ha un aborto entro i 45 anni). Il New York Times, il Washington Post, Mother Jones, New Republic, Slate e il Guardian hanno iniziato a scrivere articoli di denuncia sul mio lavoro, la cosa notevole è che nessuno degli autori di questi articoli sulle mie opinioni si è preso la briga di interpellarmi (tranne uno, Vox). Piuttosto che intervistare il soggetto dei loro editoriali, hanno scannerizzato migliaia di miei pezzi, e hanno trovato le chicche che sembravano loro più provocatorie. Ero quasi divertito dagli scoop di questi attivisti di sinistra, che avevano scoperchiato cose che in realtà erano state già pubblicate. Si possono trovare altri tweet attribuiti a me che sono pura invenzione. Distorsioni ed esagerazioni al servizio di obiettivi ideologici limitati”. Goldberg è un gran conoscitore di Twitter, dice Willamson, ma nonostante questo, aveva sottostimato l’energia con cui quella folla avrebbe dato la caccia, perseguito a ogni costo uno come lui. “Qualunque cosa voi pensiate delle mie opinioni, credo comunque che siano più interessanti che sentire qualcuno che ripete gli stessi argomenti di dibattito abusati. Gli editori dell’Atlantic la pensavano così, fino a che la folla non ha iniziato a pensare per loro”.

 

La rivista ha spesso accolto le opinioni di giornalisti controversi come Ta-Nehisi Coates o Christopher Hitchens “che è stato uno dei saggisti più preziosi del nostro tempo – fa notare – sì mi disse Goldberg quando gli ricordai questa cosa, ma Hitchens era uno di famiglia. Tu no”. Ecco uno dei nodi fondamentali secondo Williamson. “Nessuno è davvero interessato alle mie opinioni sull’aborto e sulla pena di morte – io non sono un nome familiare. Chiunque fosse stato davvero interessato alle mie idee avrebbe fatto quello che i giornalisti fanno: avrebbe chiesto”. Non fare domande, non dimostrarsi onesti intellettualmente “significa rafforzare coloro che liquidano i media come una matassa di opportunismo partigiano senza speranza. Senza un giornalismo credibile, tutto quello che abbiamo è la folla di Twitter, che è un dio geloso. Geloso e anche un po’ stupido”.

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