Facebook (foto LaPresse)

Abbandonare i social per salvarsi l'anima. La modesta proposta di Lanier

Un libro per convincere il lettore ad abbandonare Facebook & Co. Non a limitarne l’uso, a darsi delle regole, ma cancellarli. Tutti, subito

New York. Li devo usare per lavoro. Non scrivo mai niente. Mi servono per informarmi. Mi segue giusto qualche amico. L’account è privato. E’ solo per far vedere ai nonni le foto dei nipoti. La lista minima delle scuse che ogni utente sospettoso verso i social ripete a se stesso per non abbandonare i suoi molteplici account non passa il test di Jaron Lanier, che nel suo ultimo libro dimostra di non aver perso l’abitudine di toccarla piano: “Se non sei parte della soluzione, non c’è una soluzione”. Ten Arguments for Deleting Your Social Media Accounts Right Now non ripercorre la lunga catena di ragioni che hanno indotto il pioniere della realtà virtuale a prendere una posizione duramente critica verso le grandi aziende della Silicon Valley.

 

Lanier le ha già esposte con lucidità in You’re Not a Gadget, Who Owns the Future? e, in una deliziosa forma autobiografica, in The Dawn of the New Everything. Questo pamphlet dichiara uno scopo più limitato: convincere il lettore ad abbandonare i social media. Non a limitarne l’uso, a darsi delle regole, ma cancellarli. Tutti, subito. “Uscire completamente è l’unica opzione che permette il cambiamento. Se non esci, non crei lo spazio in cui la Silicon Valley può agire per migliorare”, scrive. In gioco, sostiene Lanier, non c’è niente di meno che la salvezza di quella irriproducibile unicità umana che i social media tendono a sopprimere, per renderci simili agli animali che il comportamentista B.F. Skinner addestrava nel suo laboratorio. Il pregio di questo appello è che traccia il contorno del problema con chiarezza in modo da suggerire soluzioni realistiche, evitando lo sterile atteggiamento apocalittico di chi, per protestare contro gli eccessi di Facebook, vorrebbe buttare nel cestino la modernità intera. Per Lanier il problema non sono i social media, ma questi social media, così come sono concepiti, strutturati e offerti da certi attori della grande industria tecnologica che hanno fatto specifiche scelte riguardo al loro modello e agli oscuri algoritmi che lo sorreggono. Il core business di queste compagnie è la modificazione del comportamento. Ma nemmeno questo è il problema, perché la modificazione del comportamento è parte dell’esperienza umana da sempre, “e quando la reciproca modificazione del comportamento si orienta in senso positivo, può diventare parte di quello di cui parliamo quando parliamo d’amore”. Il problema, piuttosto, è “l’implacabile, robotica, insensata modificazione del comportamento al servizio di manipolatori invisibili e algoritmi indifferenti”, pratica che aziende come Google e Facebook hanno messo al centro della loro strategia. Prosperano su un modello “in cui c’è un incentivo a trovare clienti disposti a pagare per modificare il comportamento di qualcun altro”. Al contrario di molti altri critici, Lanier dice che il punto non è la tecnologia, ma il modello di business. E’ una precisa scelta produttiva che distingue un prodotto tecnologico “normale” da un “Bummer”, sigla coniata dall’autore e che sta per Behaviors of Users Modified, and Made Into an Empire for Rent. Non tutte le aziende della Silicon Valley sono Bummer, ma questi hanno occupato il mercato, imponendo modificazioni dei comportamenti su larga scala. I social ci hanno reso più asshole (cioè più stronzi), più provocatori, più altezzosi, più attaccabrighe, più tribalisti, più divisi, più bulli, più sospettosi e rozzi, più desiderosi di irridere, dileggiare, dissacrare e offendere, più incapaci di immedesimarci nelle situazioni altrui per realizzare una precisa strategia. L’esaltazione suprema del troll che è in ognuno di noi è il frutto di decisioni strutturali, non è un fatto accidentale. Anzi, Lanier arriva a dire che quando ci iscriviamo a un social basato su un Bummer “accettiamo implicitamente una nuova cornice spirituale” e abbandoniamo senza accorgercene le nostre concezioni antropologiche precedenti. Nello spazio dei social il soggetto stesso subisce un’alterazione. Questo immenso macigno in mezzo alla strada si può aggirare, sostiene Lanier, ma per farlo occorre cambiare il modello di business dei Bummer. Come? L’unico modo è abbandonare tutte le piattaforme. Ora.