Meglio morire investiti da un ubriaco o da un'auto senza pilota?

Eugenio Cau

Quanti rischi siamo disposti ad affrontare per avere un’auto che si guida da sola? Riflessioni sul caso Uber

Roma. Meglio morire investiti da un ubriaco o da un’auto senza pilota? Dopo che un veicolo a guida autonoma ha fatto la sua prima vittima umana pochi giorni fa, è una domanda che bisogna iniziare a porsi, nelle sue varianti. Siamo disposti a correre i rischi che sviluppare una nuova tecnologia comporta? Nella notte tra domenica e lunedì un veicolo a guida autonoma ha investito e ucciso un pedone mentre attraversava un incrocio a Tempe, in Arizona, e per la prima volta la polizia ha detto: è stata la macchina (ha detto inoltre che nemmeno un umano avrebbe potuto evitare lo scontro, ma il discorso non cambia).

 

Ci sono stati altri incidenti fatali in precedenza, ma in quei casi il veicolo a guida autonoma era sempre stato scagionato, c’era di mezzo un errore umano. Questa volta, almeno secondo le indagini della polizia, la colpa è della vettura, dunque la colpa è della tecnologia, e forse la povera signora investita a Tempe sarà ricordata sui libri di storia: è la prima vittima dell’automobile che si guida da sola. Non importa che nel caso specifico la vettura fosse di Uber, avrebbe potuto essere di Google o di Tesla e poco sarebbe cambiato. Qui parliamo del fatto che una macchina a guida autonoma ha fatto un morto, ed ecco una notizia: ce ne saranno altri. Ce ne sono sempre, e più una scoperta è importante maggiori sono i rischi intrinseci. Lo dice la storia dello sviluppo tecnologico e dell’innovazione scientifica.

 

A inizio Novecento migliaia di persone sono morte prima che gli aeroplani diventassero sicuri per trasportare passeggeri (gli stessi fratelli Wright sono stati coinvolti in più di un incidente, in uno di questi Orville Wright quasi ci rimise le penne mentre il suo passeggero, Thomas Selfridge, morì diventando come la signora di Tempe la prima vittima della nuova tecnologia). Migliaia di motori a vapore sono scoppiati e migliaia di locomotive si sono schiantate. Nel Diciannovesimo secolo molte persone sono morte prima che i vaccini diventassero sicuri e contribuissero a salvare milioni e milioni di vite umane. La macchina che si guida da sola promette un futuro altrettanto salvifico: secondo i ricercatori, quando la tecnologia sarà perfezionata e quando tutti i veicoli in circolazione saranno autonomi gli incidenti stradali si ridurranno virtualmente a zero, e milioni di persone saranno salvate ogni anno. Ma quando, dopo la signora di Tempe, arriverà un altro morto e magari un altro ancora – quando ce ne saranno dieci, mettiamo – come reagiremo? Come reagirà la società nel suo complesso?

 

Il problema diventa ancora più difficile da risolvere perché, se è vero che ogni tecnologia è soggetta a rischi ed errori, con le vetture a guida autonoma gli errori non saranno più umani. Alcune nozioni che oggi consideriamo essenziali nella valutazione di un fenomeno, come quella di libertà e di responsabilità, non saranno più applicabili. Se un autista ubriaco investe un pedone ha usato male la sua libertà e deve essere considerato responsabile, ma una macchina che si guida da sola? Certo, gli ingegneri che hanno scritto gli algoritmi di guida possono essere imputabili, ma solo entro certi limiti. Se si genera un incidente perché i sensori anteriori di una Tesla non sono ancora abbastanza avanzati, di chi è la colpa? E per le vittime di questo incidente sarà accettabile ricevere come risposta un “ci dispiace, la tecnologia era immatura”?

 

Rispetto ai tempi dei fratelli Wright, viviamo in un’epoca di isterie facili. Oggi il primo partito italiano ha idee antivacciniste, vuole bloccare i termovalorizzatori, i treni ad alta velocità, le esplorazioni petrolifere, l’installazione di strumentazioni radar. Nel resto dell’occidente altri movimenti simili – anti scientifici, sospettosi – guadagnano spazio e consensi. E allora la domanda diventa: siamo ancora una società capace di assumersi il peso dell’innovazione tecnologica? 

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  • Eugenio Cau
  • E’ nato a Bologna, si è laureato in Storia, fa parte della redazione del Foglio a Milano. Ha vissuto un periodo in Messico, dove ha deciso di fare il giornalista. E’ un ottimista tecnologico. Per il Foglio cura Silicio, una newsletter settimanale a tema tech, e il Foglio Innovazione, un inserto mensile in cui si parla di tecnologia e progresso. Ha una passione per la Cina e vorrebbe imparare il mandarino.