Jack Dorsey, fondatore e ceo di Twitter

Reinventarsi è un po' morire, la parabola di Twitter interroga il giornalismo

Piero Vietti
Figlio della fretta contemporanea e della paura che qualcosa possa sfuggirci e il tempo venire a mancare, Twitter – il social network inventato da Jack Dorsey (che oggi dovrebbe essere confermato ceo dell'azienda) nove anni fa per “cinguettare” nel web pensieri di massimo 140 caratteri – si dibatte da mesi in una crisi di identità che ha avuto ricadute pesanti anche sull’assetto societario.

Figlio della fretta contemporanea e della paura che qualcosa possa sfuggirci e il tempo venire a mancare, Twitter – il social network inventato da Jack Dorsey nove anni fa per “cinguettare” nel web pensieri di massimo 140 caratteri – si dibatte da mesi in una crisi di identità che ha avuto ricadute pesanti anche sull’assetto societario: dopo cinque anni di sostanziali insuccessi, il ceo Dick Costolo ha lasciato il posto, ora occupato dallo stesso Dorsey (prima ad interim e da oggi, secondo alcuni rumor, in modo permanente), gli utenti crescono lentamente e le perdite economiche sono ancora troppo alte. Che in qualche modo Twitter debba crescere è opinione diffusa e condivisa da molti, ma è sul come che le ricette e i consigli divergono.

 

Da qualche giorno un ristretto numero di utenti sta testando una nuova funzione che permette di lanciare sondaggi istantanei con un tweet. Il quotidiano inglese Guardian (come richiamato ieri su DataMediaHub) riportava che questi sondaggi dovrebbero durare 24 ore e rilasciare alla fine statistiche su risultati e partecipanti. Al di là delle perplessità tecniche, l’idea appare un po’ bollita (Facebook e Google Plus già ci sono arrivati), e non così innovativa da portare quel cambiamento tanto desiderato da utenti e dirigenti. Quel cambiamento in realtà sarebbe già in nuce, ma – se confermato – promette di stravolgere parecchio le cose.

 

Il sito di notizie e analisi sul mondo digitale Re/Code due giorni fa segnalava che Twitter sarebbe pronto a infrangere il sacro muro dei 140 caratteri di limite, per permettere agli utenti di scrivere di più. Poiché sotto sotto anche chi si occupa di tecnologia è conservatore, si sono levate diverse proteste (la maggior parte proprio sul social network) perché senza i 140 caratteri “Twitter non è Twitter”. Vero, ma allora? Se Twitter non vede crescere utenti e introiti, fatica a galleggiare nel mare mosso dei social, viene superato da Instagram, guarda da sempre più lontano Facebook, è superato da Snapchat nelle preferenze degli adolescenti, forse vuol dire che Twitter, così com’è, non è più una piattaforma su cui stare a tutti i costi.

 

Quando qualche anno fa andava di moda scrivere che internet ci rende stupidi e ci impedisce di concentrarci (ora forse si è ormai talmente distratti che ce ne siamo dimenticati), Sharon Begley su Newsweek coniò il termine “twitterizzazione” della cultura – era il 2011 – per definire il flusso continuo di notizie, commenti, idee, opinioni in cui i social in generale, e Twitter in particolare, avevano immerso il mondo, portando la gente alla distrazione e all’incapacità di concentrarsi. Ma se da una parte il fiume dei tweet travolgeva tutto, dall’altra ha costretto milioni di persone alla sintesi: se non sai dirlo in 140 caratteri, non puoi dirlo.

 

Da allora a oggi sono cambiate un po’ di cose, tra queste due sono particolarmente rilevanti: si è assistito al ritorno delle newsletter per informarsi, e i blog sono “morti” per poi risorgere sotto la nuova forma di social network, con l’esperimento di successo Medium, piattaforma in cui gli utenti – senza limiti di spazio – possono postare le loro storie. C’è voglia di approfondimento, dopo la sbornia di tuitta e fuggi? Ieri Wolfgang Blau, direttore esecutivo delle strategie digitali del Guardian, chiedeva direttamente a Twitter, su Twitter, di non farlo: “I 140 caratteri sono quello che vi ha reso utili, non c’è una combinazione perfetta tra voi e Medium”.

 

Twitter senza il limite di 140 caratteri sarebbe come YouTube senza video, scriveva ieri il direttore di Wired Italia Federico Ferrazza, con un’analogia forse azzardata ma interessante. Effettivamente Twitter ha fatto della sintesi e del ristretto numero di caratteri la sua formula distintiva. E si capisce che siano i giornalisti i più preoccupati da questo cambiamento: Twitter è uno dei posti più comodi dove trovare notizie, commentarle con sagacia e vedere subito le reazioni dei follower. Ma se tutto questo non funziona più, o si cambia o si chiude.

  • Piero Vietti
  • Torinese, è al Foglio dal 2007. Prima di inventarsi e curare l’inserto settimanale sportivo ha scritto (e ancora scrive) un po’ di tutto e ha seguito lo sviluppo digitale del giornale. Parafrasando José Mourinho, pensa che chi sa solo di sport non sa niente di sport. Sposato, ha tre figli. Non ha scritto nemmeno un libro.