Vittoria Vecchini contro la Spagna (foto Getty Images)

Sei Nazioni femminile

Nel rugby c'è chi sposta il piano e lo suona. Intervista a Vittoria Vecchini

Marco Pastonesi

"Il rugby è studio, disciplina, applicazione, dedizione: io devo migliorare nella precisione del lancio in touche e nel comportamento credendo di più in me stessa". Aspettando Francia-Italia

Fra gli aforismi che sostengono il rugby, letterari come per Françoise Sagan (“Amo il rugby non perché è violento, ma perché è intelligente”) e ironici come per Oscar Wilde (“Il rugby è una buona occasione per tenere trenta energumeni lontano dal centro della città”), ce n’è uno che da sempre lo spiega nella sua natura, e che si tramanda, senza diritto d’autore, fin dai tempi dell’exploit di William Webb Ellis, che contravvenendo alle regole, prese il pallone con le mani e corse in mezzo ai pali: “Nel rugby ci sono quelli che spostano il piano e quelli che lo suonano”. Lei, Vittoria Vecchini, 22 anni, 1,64 per 80, 23 “caps”, veronese di Isola della Scala, casa a Padova, numero 2 dell’Italia che domenica alle 13.30 nello Stade Jean Bouin di Parigi affronta la Francia nel terzo turno del Sei Nazioni (e in diretta tv su Sky Sport), fa tutt’e due: sposta il piano da tallonatore e lo suona da pianista.

Il rugby è…

“Una famiglia. La mia. Papà Giovanni, professione pedicure, calcio da ragazzo, ciclismo da adulto, rugby zero. Mamma Rina, professione estetista, sport zero. Mio fratello Davide, tre anni più di me, rugbista, prima a Badia, poi a Rovigo all’Accademia, pilone sinistro, adesso macellaio in Abruzzo. E sul suo esempio, io”.

Il rugby è…

“La scuola. E’ cominciato tutto lì, così: un istruttore venuto a raccontare e spiegare, un invito a presentarsi, io non volevo, una mia amica, Martina Chiavelli, mi ha convinto, ho provato, mi è piaciuto, non ho più smesso. Ed è una scuola, un’altra scuola, una scuola di comportamento, di coraggio, di vita. Il rugby insegna il rispetto delle compagne, delle avversarie, degli arbitri, delle regole. E se non comprendo e non condivido una decisione, comunque l’accetto e non protesto. Protestare non serve a niente. E poi tutti sbagliano”.

Il rugby è…

“Un club. Prima il Badia, poi il Cus Ferrara, quindi il Valsugana. Tre allenamenti la settimana sul campo più altri in palestra, il venerdì sera tutte insieme a mangiare e ridere per fare gruppo e spogliatoio, creare lo spirito, dare un senso. E rappresentare il club in ogni occasione: siamo campionesse d’Italia, sul campo, ma anche fuori”.

Il rugby è…

“Una tribù. Le rugbiste non le riconosci dalle facce o dai tatuaggi, ce ne sono di tutti i tipi, ma dalla volontà e dalla passione”.

Il rugby è…

“La nazionale. Un onore, ma anche una responsabilità. Un privilegio, ma anche un impegno. Una maglia, ma anche una bandiera. La differenza fra club e nazionale sta nel livello, più alto, nella pressione, più forte, e nella tensione, che io sento comunque. Mi agito, molto, troppo, anche prima di una partita che non sia quella della vita”.

Insomma, il rugby è…

“Uno sport di squadra. Anzi, lo sport di squadra per eccellenza. Non è vero che una, da sola, non vada da nessuna parte, anzi, a volte anche da sola crea scompiglio e va perfino in meta. Ma se ci va sostenuta almeno da una compagna, allora tutto diventa più facile, più possibile, più bello. Contro l’Irlanda ho segnato due mete: la prima con un ‘drive’, cioè un’azione corale della mischia, la seconda con uno sfondamento, ma sostenuta da una compagna”.

Vittoria, il rugby è…

“Il rugby è l’inno: non piango, ma canto, e mi emoziono. Il rugby è la meta: c’è chi la paragona a un orgasmo, e un po’ è così, perché ti fa sentire bene, meglio, felice, forse perché non è mai facile, il segno del potere di una squadra. Il rugby è una prova di maturità: non quella scolastica, la mia in un liceo scientifico sportivo, 72 su 100, materia preferita scienze motorie, materia più temuta matematica, adesso iscritta a un corso per diventare assistente veterinaria, ma è più il tempo che dedico al rugby che non alla zoologia, professionista più nell’impegno che non nel contratto, quello firmato con la Federazione italiana. Il rugby è studio, disciplina, applicazione, dedizione: io devo migliorare nella precisione del lancio in touche e nel comportamento credendo di più in me stessa. E il rugby è soprattutto musica: suono Bach, Mozart e Beethoven, amo Ludovico Einaudi, e so quanto il rugby può essere sonata, sinfonia e opera”.

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