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Sei Nazioni femminile

Anatomia di una rugbista. Intervista a Vittoria Ostuni Minuzzi

Marco Pastonesi

"Il rugby è uno sport di continuo sostegno alle proprie compagne, in difesa così come in attacco, lo sport di squadra per eccellenza". Alle 16 di Pasqua la Nazionale femminile di rugby gioca a Dublino contro l'Irlanda

Nome: Vittoria (“Un nome, me lo dicono tutti, che nello sport dà fiducia e ottimismo”). Cognomi, due: Ostuni Minuzzi (“Quelli dei miei nonni paterni”). Altezza: 1,78. Peso: 64 (“Mi chiamano Acciughina, oppure Vic”). Anni: 22. Presenze in Nazionale: 29. La trentesima domenica, alle 16, nella Rds Arena di Dublino, contro l’Irlanda, secondo turno del Sei Nazioni, maglia numero 15. Anatomia di una rugbista.

Il sangue

“Papà venditore di olio e potatore di ulivi, mamma medico igienista. Padovana di Camposampiero. Terza di tre: un fratello maggiore di sei anni, una sorella di due. A nove anni in Africa, nel Mali, con la famiglia, impegnata in un progetto umanitario e di volontariato, la mamma in un ospedale. Prima, già da quando avevo 5-6 anni, il rugby, eredità dei miei fratelli. Poi, complice un infortunio al ginocchio, atletica leggera, e qui un po’ di tutto: salti, lanci, corse, ostacoli, una mezza specializzazione nei mille metri. Ma quando mia sorella si è convertita al rugby, l’ho fatto anch’io. Avevo 12 anni. E nel Valsugana, come una seconda famiglia, continuo a giocare. Intanto, laurea in fisioterapia e lavoro da fisioterapista”.

Le gambe

“La primissima partita non me la ricordo. Era un concentramento di bambini e bambini, fino a 12 anni si gioca tutti insieme, più una festa che altro. La prima partita che mi ricordo è soltanto un flash, anzi, una foto: con il Cus Padova, non conoscevo le regole, stavo dietro, in fondo, da sola, ma siccome la mia squadra era in attacco, c’era qualcosa, anzi, molto che non andava. E sempre giocando da ala o estremo, cavalleria leggera, inseguire in difesa, e velocità in attacco, scappare, una vita di corsa”.

La testa

“Non ho ansie, gestisco la tensione. Comincio a sentire la partita quando preparo la borsa, quando vado allo stadio, quando entro nello spogliatoio. Durante il riscaldamento mi concentro completamente sugli esercizi, sui compiti, sulle strategie. E quando l’arbitro fischia l’inizio, entro finalmente in partita. Il mio ruolo – in Nazionale gioco da estremo – richiede freddezza e lucidità. Cioè immaginare le mosse delle avversarie e anticipare i miei spostamenti, la mia copertura. E per questi è sempre indispensabile la velocità, anche quella nel prendere la decisione giusta”.

Il cuore

“Cuore significa anima, coraggio, impegno, decisione, determinazione. Il rugby è uno sport di continuo sostegno alle proprie compagne, in difesa così come in attacco, lo sport di squadra per eccellenza, per la sua stessa natura, le sue stesse regole, l’unico sport in cui il pallone si può passare – con le mani – soltanto indietro. Cuore significa anche valori, quei valori che nel rugby sono essenziali ed eterni, a qualsiasi livello, a qualsiasi latitudine: amicizia, rispetto, condivisione. Valori che anche altri sport avranno, ma che da noi sono più forti, più intimi, più veri, più necessari”.

La pelle

“Brividi di emozione quando in attacco si trova uno spiffero, si fa un buco, si apre un varco, si penetra nello spazio delle avversarie, si conquistano terra e territorio, si vola in meta. Una che segna, ma quella meta appartiene a tutte”.

Gli occhi

“Una settimana fa, a Parma, abbiamo giocato contro l’Inghilterra, la squadra più forte del torneo e, con la Nuova Zelanda, la più forte del pianeta. La partita ha avuto due volti. Nel primo, 10-0 per le inglesi, la nostra bravura in difesa e i loro errori in attacco. Nel secondo, 48-0 finale, loro ci hanno studiato e colpito nei nostri punti deboli, noi abbiamo pagato la mancanza di lucidità e anche una certa stanchezza. Anche quando giocavamo addirittura in 15 contro 13, non abbiamo saputo approfittarne. Vista e rivista, dovevamo fare di più. Adesso, a Dublino, l’Irlanda, una squadra in crescita, buona in difesa, ottima nel gioco al piede, soprattutto io dovrò tenerne conto. Vista e rivista nel primo match, perso, contro la Francia, l’Irlanda andrà affrontata cominciando a battere le dirette avversarie nell’uno contro uno”.

La filosofia

“Non ci sono un rugby maschile e un rugby femminile. C’è il rugby, e basta. Certo, hanno diverse caratteristiche. Quello maschile è più potente, più veloce, più fisico, più tattico. Quello femminile è comunque veloce e tecnico, e sta diventando – lo dimostra proprio l’Inghilterra - sempre più fisico, ma è meno schematico e dunque più imprevedibile. Un po’ come il vecchio rugby, dove c’era più improvvisazione e si faceva meno a sportellate. Amo tutti gli sport, ma senza esserne fanatica o tifosa. Guardo in tv le Olimpiadi, i Mondiali di atletica e nuoto, la Coppa del mondo di sci e il campionato di pallavolo. Ma il rugby, per me, è un amore più profondo”.

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