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Sei Nazioni femminile

"Il professionismo è indispensabile per continuare a essere competitivi nel rugby". Parla Sofia Stefan

Marco Pastonesi

L'Italia debutta a Parma nel Sei Nazioni femminile contro l'Inghilterra. Questa edizione è “l’occasione per avere una conferma del nostro cambiamento dopo i Mondiali"

Il rugby femminile viene da lontano, nel tempo e nello spazio. Nel giugno 1891 Nita Webbe, un’imprenditrice neozelandese, radunò 30 donne ad Auckland per dare vita alla prima partita della storia. Per reclutare le candidate mise un annuncio sui maggiori quotidiani del paese. Le aspiranti rugbiste dovevano presentarsi con il permesso dei genitori e con una divisa di gioco composta da tuta da ginnastica, maglia, pantaloni alla zuava e gonna. Erano ammessi anche i cappelli. E le spese della trasferta ad Auckland erano a carico delle future rugbiste. Nei piani di Webbe, dopo la partita inaugurale le due squadre avrebbero potuto intraprendere una tournée dimostrativa in Australia per poi proseguirla negli altri paesi dell’Impero Britannico. Ma l’iniziativa di Nita Webbe non ebbe successo. Alcune donne arrivarono, si dice che si allenarono, ma la partita – ingresso a pagamento – venne cancellata e non si disputò.

Centrotrentatrè anni dopo (ma tutto si è costruito negli ultimi 40): il Sei Nazioni donne. La prima edizione nel 2007. Domenica alle 16, a Parma, l’Italia debutterà nel torneo del 2024 contro l’Inghilterra. Padovana, mediano di mischia, maglia numero 9, 1,63 per 63, 31 anni, due scudetti, 82 partite in Nazionale, capitano contro le inglesi: ecco a noi Sofia Stefan.

Perché il rugby?

“Da bambina il nuoto, a livello agonistico. Da ragazzina l’atletica. Desideravo il calcio. Ma c’erano tanti pregiudizi. E non ne ebbi mai la possibilità. Finché capitai su un campo da rugby. Me ne innamorai immediatamente. Il mio primo sport di squadra. Che non cambierei con nient’altro al mondo”.

Che cos’è il rugby?

“Lo sport che mi piace di più, che sento di più, che voglio di più, che amo di più”.

C’è rugby e rugby?

“Il rugby delle donne è identico al rugby degli uomini, anche se in contesti ancora diversi. Ma i motivi per cui gli uomini e le donne giocano a rugby sono gli stessi, uguali, precisi. Lo so perché ci vivo dentro: da giocatrice con le donne e da preparatrice con gli uomini”.

Si può parlare di professionismo?

“Una delle 24 atlete sotto contratto con la Federazione italiana. Ovviamente di questo contributo non si campa. Ma è il segno di un cambiamento, il primo passo di un percorso. E il professionismo è indispensabile se si vuole continuare a essere competitivi ad alto livello internazionale”.

Rugby: 15 contro 15?

“Ma anche uno contro uno. Ed è questo il suo bello: l’individualità nella collettività e la collettività nell’individualità, cioè tutti per uno e uno per tutti”.

Mediano di mischia: che cosa significa?

“Trovarsi sempre, il più possibile, dove si trova la palla; far giocare bene le compagne; insomma, sistemare – mettere a sistema – al meglio le cose per tutti”.

Sua la meta dell’anno 2023.

“Facendo quello che avrebbe fatto qualsiasi mediano di mischia, con un sostegno all’interno. Una meta collettiva, che appartiene a tutte 15”.

Che cos’è il Sei Nazioni?

“Privilegio, prestigio, onore. Il più bel momento dell’anno”.

Che cos’è questo Sei Nazioni?

“L’occasione per avere una conferma del nostro cambiamento dopo i Mondiali. I frutti del lavoro svolto”.

Previsioni?

“L’Inghilterra è la numero uno al mondo: dobbiamo resistere e restare il più possibile in partita. La Francia, in Francia: un’altra partita di sofferenza. Ma con Irlanda, Scozia e Galles ce le possiamo finalmente giocare. Non puntiamo a una, due o tre vittorie. Puntiamo alla competitività”.

Sofia, che cosa ha dato al rugby?

“Tempo, impegno, dedizione. Senza riserve”.

Che cosa ha ricevuto?

“Ho imparato a giocare, cioè stare, lottare, abitare con gli altri. In campo, nella vita”.

Quando entra in partita?

“Dipende dai contesti. A volte due giorni prima, a volte all’ingresso in campo, al fischio d’inizio, alla prima azione”.

Quando ne esce?

“Solo alla partita successiva”.

Che cosa le lascia una partita?

“Anche qui dipende dalla partita. A volte una sensazione magica, quando tutto è fluito in un suo ritmo, in una sua armonia, in un suo continuo allineamento. Altrimenti in una sensazione di frustrazione”.

E dopo la partita?

“Anche noi abbiamo il terzo tempo. Al Sei Nazioni, prima del Covid, in ristoranti lussuosi e abiti eleganti. Dopo il Covid, negli stadi e in tuta”.

Sofia, è felice?

“Sì, anche grazie al rugby. Mi regala emozioni così forti, uniche, necessarie, quasi una droga”.

E poi?

“Laurea in Scienze motorie, master, magistrale… Vorrei rimanere in questo mondo, da allenatrice o da preparatrice, ancora non lo so. Ma so che questa è la strada maestra, la strada giusta”.

 

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