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Champion Cities

Birre e lampadine: Borussia Dortmund-Psv è un match novecentesco

Gino Cervi

Dopo l'1-1 dell'andata, al Westfalenstadion di Dortmund, i gialloneri e i biancorossi si incontrano per il match di ritorno degli ottavi di finale di Champions League

il 19 dicembre del 1909, una domenica pomeriggio. Alla periferia nordorientale della città tedesca di Dortmund intorno alla tavolata della locanda Zum Wildschutz, “Al Cacciatore”, al 69 di Oesterholzstrasse, una quarantina di giovanotti parlano concitati. Sono i ragazzi della squadra parrocchiale della Santissima Trinità, la chiesa cattolica che, nello stesso quartiere di Borsigplatz, poco lontano da lì, in Flurstrasse, da qualche anno ha scelto lo sport come strumento di aggregazione giovanile per i figli dei minatori e degli operai delle fabbriche siderurgiche. Una città a prevalente dimensione protestante, la parrocchia Santissima Trinità cerca di integrare i figli degli immigrati, molti dei quali dalla cattolica Polonia, offrendo loro l’opportunità di fare atletica, ginnastica e anche di praticare il football. Ma da qualche anno il cappellano, padre Hubert Dewald, ha qualcosa da ridire: detesta il calcio, perché lo ritiene un gioco selvaggio e diseducativo e fa di tutto per osteggiarne la pratica. È arrivato a concepire una preghiera appositamente pensata per distogliere i giovani parrocchiani dalla tentazione di prendere a calci un pallone. I ragazzi non ci stanno e decidono di staccarsi dal prete rompicoglioni e di fondare una nuova squadra: si chiamerà BallspielVerein Borussia 1909.

Borussia è il nome latino della Prussia e negli ultimi decenni dell’Ottocento molte società sportive, spesso nate in ambito militare, scelsero questa denominazione patriottica: dalla storica regione baltica della Prussia aveva infatti preso le mosse il processo di unificazione statale del Reich, sotto il casato degli Hohenzollern. Ma non è questo il caso dei ragazzi di Dortmund: il nome lo scelgono perché sono affezionati – e forse questo potrebbe essere stato un altro motivo di incomprensione con padre Dewald – a uno storico birrificio del quartiere fondato in Steigerstrasse nel 1885, che portava proprio il nome di Borussia Dortmund. Era una marca di birra molto amata dagli operai della città, ma era uscita di produzione nel 1901, quando l’azienda fallì. Al ristorante Zum Wildschutz, in quella domenica pomeriggio del 1909, campeggi però ancora una grande reclame pubblicitaria della Dortmunder Borussia Brauerei. Probabile che i quaranta fondatori della nuova società calcistica vi si ispirino: oltretutto tre di loro, Franz, Julius e Wilhelm Jacobi, erano figli di un operaio del birrificio. Franz sarebbe poi diventato anche presidente del club, dal 1910 al 1923, e poi ancora a lungo presidente onorario.

Nel 2015 è stato prodotto un documentario, finanziato da una sorprendente operazione di crowdfunding, intitolato Am Borsigplatz geboren. Franz Jacobi und die Wiege des BVB, che racconta proprio la storia della fondazione del Borussia Dortmund, ambientandola, con interviste e rievocazioni, proprio nel quartiere nordorientale della città, compresi anche gli interni della locanda Zum Wildschutz e il primo campo da calcio della squadra, il Weisse Wiese.

   

    

In origine vestivano una maglia a strisce verticali bianche e blu, con una cintura diagonale rossa. Soltanto nel 1913, in seguito alla fusione con altri club locali, il Borussia adotta i colori che veste ancora oggi, il giallo e il nero. Intanto, il marchio della Borussia Brauerei è stato rilanciato nel 2023.

Nel 1913, nasce ad Eindhoven, città della provincia del Brabante Settentrionale, nei Paesi Bassi, la Philips Sport Vereeniging (Unione Sportiva Philips), da cui l’acronimo Psv. È la polisportiva della grande azienda olandese fondata nel 1891 come fabbrica di lampadine e diventata, nel giro di pochi anni, una delle più importanti aziende del settore dapprima elettrico e ora elettronico. In realtà una squadra di calcio aziendale, la Philips Elftal, esiste già dal 1910, ovvero da quando Philips è già la più grande ditta nazionale per dimensioni, importanza e numero di dipendenti, oltre 2000. Ma è il 31 agosto del 1913, in occasione delle celebrazioni nazionali per il centenario dell’indipendenza dei Paesi Bassi, che in un negozio di barbiere, in Vrijstaat, al numero 13, viene redatto lo statuto della nuova associazione, che trova pieno appoggio, morale ed economico, nei fondatori dell’azienda, Gerard e Anton Philips. Verrebbe facile dire che sono mecenati illuminati. Fino al 1928, al club possono essere iscritti soltanto dipendenti aziendali. In questo filmato d’epoca, che riprende alcuni momenti della partita tra Psv e Velocitas, una squadra di Groningen, in tribuna si vedono fare il tifo Anton F. Philips, allora presidente dell’azienda.

 

           

Il Philips Stadium, più volte ricostruito e poi rammodernato, fino a diventare uno degli impianti più belli d’Europa, sorge ancora nel luogo dove giocava in origine la squadra biancorossa – e pantaloncini neri –, nel Philipsdorp, e dove aveva un tempo sede l’originaria fabbrica di lampadine, ora riconvertita a museo. Al Philips Stadion di oggi, un seggiolino è sempre, religiosamente, vuoto: è quello che abitualmente occupava Frederik Philips, membro della famiglia proprietaria e dirigente d’azienda. Nato nel 1905, durante la Seconda guerra mondiale sottrasse a una morte certa oltre 300 ebrei, dipendenti della Philips, impedendo ai nazisti che venissero deportati. Per questo motivo, è stato insignito dell’onoreficenza di Giusto tra le Nazioni e un albero in suo onore è stato piantato nel Giardino dei Giusti a Gerusalemme. Frederik Philips è morto nel 2005, all’età di 100 anni.

Questa sera, nel magniloquente Westfalenstadion di Dortmund, si incontrano per il match di ritorno degli ottavi di finale di Champions League, i padroni di casa del Dortmund e gli ospiti del Psv. All’andata era finita in parità, 1-1. Non sappiamo se e quanto gli attuali giocatori delle due squadre conoscano la storia dei loro club, e le loro novecentesche ascendenze birraio-parrocchiali o elettroilluminescenti, dall’antipatico, ma determinante, padre Dewald al buon Frederik Philips. Ma sarebbe bello se Mats Hummels o Luuk De Jong, Emre Can o Irving Lozano potessero mandare un pensiero al lungo e tormentato secolo che sta alle spalle dei colori che indossano.

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