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Crocicchi #25

Una Serie A sull'orlo di una crisi di nervi

Enrico Veronese

Dietro l'Inter, sempre più sola in testa alla classifica, aumentano i problemi per quasi tutte le squadre. A partire da Napoli, Milan e Sassuolo, ancora alla ricerca di loro stessi

Un campionato sull’orlo di una crisi di nervi. Nel fine settimana, in Serie A, sono state tante le situazioni che hanno palesato – o rivelato in latenza – rapporti tesi tra proprietà e guida tecnica, tra allenatore e giocatori, tra società e tifoserie: dall’ammutinamento di Lassana Coulibaly e Boulaye Dia nei confronti del nuovo mister della Salernitana, Fabio Liverani, alla presa d’atto che Walter Mazzarri non può riportare il Napoli ai suoi livelli (di qui l’imminente esonero, forse consensuale, con l’avventura di Francesco Calzona).

Ma anche il crollo del Milan a Monza e Stefano Pioli sotto accusa per la formazione schierata nel primo tempo, prontamente rivoltata all’inizio della ripresa; oppure i passi da formica della Fiorentina, dotata di un potenziale non certo inferiore – per esempio – a quello del Bologna, eppure incapace di darsi una continuità di risultati in casa e fuori. Lo stesso Torino, che veleggia bene e uno spiraglio d’Europa potrebbe pure vederlo, ha visto scoppiare la bomba delle parole di Urbano Cairo, indisposto pubblicamente a procrastinare lo stipendio di Ivan Jurić: e non solo perché l’editore avrebbe già messo le mani sopra Paolo Vanoli, artefice della rinascita veneziana in Serie B.

Dal canto suo, Daniele de Rossi si aggrappa al risultato e al turnover per rinsaldarsi dopo il brutto primo tempo di Frosinone, mentre ad Alessio Dionisi ormai vengono concessi i sette giorni per cercare di non far sprofondare il Sassuolo. Discorso diverso riguardo la Lazio, che dopo il trionfo in Champions League contro il Bayern Monaco (dalla portata tutt’altro che passeggera) ha ceduto in casa proprio al Bologna di Thiago Motta e Joshua Zirkzee, sempre più uno dei calciatori da copertina di questo torneo: magari assieme a Mattéo Guendouzi, del quale arrivano prima i capelli e poi l’onnipresenza tarantolata.

Uomini-squadra, come Matías Soulé che in Ciociaria catalizza ogni passaggio dei compagni di squadra: lo cercano anche dall’altra parte del campo, con traccianti di sessanta metri, “pensaci tu” prima di tornare a far grande la Juventus. Quanto ha penato la Roma di fronte ai gialloblu che la perforavano da tutte le parti, e solo i pali, le traverse, le mischie, i voli di Mile Svilar, l’imprecisione di Kaio Jorge hanno potuto determinare un esito differente a quello scritto in campo prima della svolta.

Tanti tiri a giro nei gol di giornata, proprio quando di Lorenzo Insigne si sta perdendo anche il ricordo: il suo Napoli è nono, la Lazio ottava, e si sta parlando della prima e della seconda nella classifica finale della scorsa stagione. A proposito di secondo posto: avesse vinto a Monza, il Milan avrebbe scavalcato la Juve alle spalle dell’Inter. Così non è stato, per quanto la reazione d’orgoglio abbia condotto i rossoneri dal 2-0 al 2-2-2 in dieci uomini: probabilmente nessuno pensa che, con Luka Jović in campo e non espulso per fallo “telefonato” di reazione, il match si sarebbe concluso con la vittoria dei padroni di casa. Invece il cartellino rosso al centravanti serbo, più ancora delle due reti regalate nel primo tempo ai brianzoli da Malick Thiaw (come sempre a disagio nella difesa a 4 e uomo contro uomo, vedi i casi Marcus Thuram e Moise Kean), è stata la mazzata alle ambizioni milaniste, ancorché differita di qualche minuto.

E forse la cena tra Paolo Scaroni e Adriano Galliani, i due vertici societari a tavola prima della partita, ha suggellato l’ipotesi del passaggio di Raffaele Palladino da una panchina all’altra nel raggio di poche decine di chilometri: si è vista in campo la differenza tra un tecnico che si dedica al turn over nonostante il 3-0 rassicurante al Rennes, ma senza intaccare il monoschema, e uno che – dovendo adattarsi a un avversario più forte – per la prima volta prova la difesa a quattro, tiene in panchina l’intoccabile Luca Caldirola, lascia le briglie libere alla batteria di trequartisti e la vince al di là di quanto dica il punteggio.

Certo, ci hanno messo del proprio anche l’arbitraggio e la gestione del Var, ma il brutto crocicchio imboccato si legge per intero nelle inedite rughe di Pioli, invecchiato di colpo: e, forse per la prima volta, non più difendibile ad oltranza dai vertici di RedBird. Magari senza sceneggiate o disimpegno, nemmeno ripicche da intervista come avvenuto con José Mourinho: perché, anche se spesso non è colpa degli allenatori, di animi alterati l’ambiente della Serie A ne sta già covando abbastanza.

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