il foglio sportivo

C'era una volta il Palamaggiò

Antonio Castaldo

Il tempio degli scugnizzi d’oro di Caserta costruito in 100 giorni. Oggi è un rudere

Il parquet su cui sfrecciavano Nando Gentile ed Enzino Esposito è disastrato. I canestri bersagliati da Oscar Schmidt, recordman mondiale per punti realizzati, portati via con tabelloni e strutture di sostegno. Rubati i trofei della Juvecaserta, prima squadra del Sud a vincere uno scudetto, ma rimossi anche water e rubinetti, scrivanie, sedie, centraline elettriche e tutti i fili di rame. Si sono presi persino il busto del fondatore, il cavaliere Giovanni Maggiò. Come pietra tombale, nel giugno del 2021, quel che restava è stato dato alle fiamme. Il Palamaggiò, il tempio del basket meridionale, è stato sventrato, ridotto a un guscio vuoto, aperto come una scatola di sardine e lasciato così, ad arrugginire. Oggi la squadra della città è costretta a giocare lontano da casa e ad allenarsi in orari improponibili, in campi messi a disposizione nei comuni vicini. 


Il Palamaggiò era un impianto all’avanguardia, concepito sul modello delle arene Nba. Aveva una palestra, un campo di allenamento, la sala massaggi. E soprattutto poteva ospitare fino a 7 mila spettatori, il più capiente a sud di Roma.  La docu-serie Rai “Scugnizzi per sempre”, ne ha recentemente celebrato con toni epici la fondazione. Nel 1982 la Juvecaserta stava consolidando quello che poi sarebbe diventato il suo gruppo storico, con il quindicenne Gentile preso in prestito dalle giovanili, i più maturi Donadoni, Mastroianni e Simeoli, lo slavo Zoran Slavnic, e il grande Oscar che sarebbe atterrato in Italia a stagione in corso. Ma soprattutto in panchina aveva Bogdan Tanjevic, l’allenatore montenegrino che ha costruito, mattone su mattone, il piccolo miracolo casertano. 

 
I bianconeri militavano in A2, e la federazione li aveva costretti a disputare in trasferta tutte le gare perché il campo dell’epoca, la palestra cittadina di via Medaglie d’oro, non era a norma. C’erano progetti per la costruzione di un nuovo impianto, ma Comune e Provincia si rimbalzavano la responsabilità, e nulla si muoveva all’orizzonte. Fu proprio Boscia allora a provocare una reazione d’orgoglio nel presidente della società, il costruttore Giovanni Maggiò: “Gli dissi che senza palazzetto la stagione sarebbe stata difficile – ha raccontato in tv l’ex coach -. E lui allora rispose: non ti preoccupare, per il girone di ritorno ne avrete uno nuovo. Io ero dubbioso, e glielo dissi. Il presidente mi mandò a quel paese e mi intimò di badare alla squadra che al palazzetto avrebbe pensato lui”.  

   
E così fu. Per bruciare i tempi, Maggiò decise di sfruttare un terreno di sua proprietà, in località “Pezza delle Noci”, nel territorio del piccolo comune di Castelmorrone, alle porte di Caserta. Radunò una squadra di tecnici e muratori di assoluta fiducia, e sulla base del progetto dell’architetto Pietro Monti, tirò su un gioiello dell’impiantistica sportiva in pochissimo tempo. Impiegò 100 giorni per consegnarlo alla squadra e rispettare la promessa fatta a Tanjievic. I lavori cominciarono ai primi di agosto e a novembre il nuovo palazzo dello sport era pronto ad ospitare la sfida casalinga dell’allora Indesit Caserta con l’Italcable Perugia. Un’impresa che ha davvero del leggendario per una città che da quasi 30 anni attende l’ultimazione del nuovo policlinico. 

  
“L'intenzione era di mettere in piedi un prefabbricato, fare presto e spendere poco”, ricorda il figlio del presidente scomparso nel 1987, Gianfranco Maggiò. “Il cantiere partì e io andai in vacanza. Quando tornai dal mare, vidi pilastri di circa 25 metri e capii subito che non si trattava certo di un prefabbricato, i costi sarebbero lievitati alle stelle. Andai da mio padre per farglielo presente e la risposta fu chiara. Mi disse che quando un'impresa raggiunge un certo livello, deve cominciare a restituire qualcosa alla comunità”.

    
Arrivarono altri campioni, come Sandro Dell’Agnello e Pietro Generali, e un balletto di sudamericani o slavi che si alternavano nel ruolo di spalla del cecchino brasiliano. Dopo due finali andate a vuoto, nel 1988 la Juvecaserta vinse la coppa Italia. Quindi sfidò il Real Madrid di Drazen Petrovic nella finale di Coppa delle Coppe. Arrivò in finale anche in Korac, e per due volte contese il titolo nazionale alla grande Olimpia guidata da Dan Peterson, con i vari Meneghin, Riva, Premier e D’Antoni, nel 1986 e nel 1987. Infine il trionfo del ’91, nel primo anno senza Oscar ma con i travolgenti americani Shackelford e Frank. Nel frattempo, il Palamaggiò si era fatto un nome anche palco per la musica: negli anni ha ospitato i concerti di gente come Miles Davis, Bruce Springsteen, Vasco Rossi, Luciano Ligabue, Claudio Baglioni, Jovanotti, Renato Zero e Pino Daniele, solo per fare qualche nome. 

  
Oggi la società sportiva si chiama Juvecaserta 2021, ed è presieduta da Francesco Farinaro, imprenditore delle energie rinnovabili. I vivai sono di nuovi affollati di ragazzi appassionati a uno sport che in città è ancora oggi, 32 anni dopo lo scudetto, una religione. La squadra però naviga in bassa classifica, in serie B. Come allenatore si è anche rivisto in campo per qualche partita Ferdinando Gentile, che della rinata Juvecaserta è il direttore tecnico. Ma non è bastato per cambiare passo: “Le difficoltà che stiamo incontrando – spiega Farinaro – sono anche legate alla mancanza di un campo di gara e di allenamento. Chiuso il Palamaggiò, la nostra casa era diventata il vecchio PalaPiccolo di via Medaglie d’Oro, ma dall’inizio dell’anno anche quello è chiuso per lavori. Siamo costretti a usare altri palazzetti, in giro per la provincia. Ma possiamo usarli per allenarci solo ad ora di pranzo, o molto tardi la sera, perché negli altri orari sono sempre occupati”.

  
Nel luglio del 2022 si era riaccesa una speranza, quando dopo ben 17 aste andate deserte, si è conclusa la vendita del Palamaggiò. Ad aggiudicarselo una cordata guidata dall’imprenditore napoletano Rino Manna, proprietario del Palapartenope, per 2 milioni di euro, il 10% appena della prima base d’asta fissata a 21 milioni. Sono seguite alcune promesse e vari annunci, ma ad oggi i cantieri della ristrutturazione non sono ancora partiti. 

 
In città si respira scetticismo. Ne è un termometro Carlo Giannoni, storico dirigente della società bianconera, uno che era al fianco di Giovanni Maggiò anche nel lontano 1982: “La verità è che si tratta di lavori davvero costosi. Vanno rifatti impianti, infissi e parquet. Secondo le mie stime, ci vogliono tra i 4 e i 5 milioni. E poi ci saranno le spese di manutenzione. Solo di corrente elettrica, negli ultimi anni eravamo sui tremila euro al mese di bollette. Non oso immaginare quanto spenderebbero i nuovi gestori con le tariffe odierne”. 

 
Oggi a Pezza delle Noci non c’è nulla, se non le foglie secche che ricoprono il vasto parcheggio completamente deserto. I ruderi dell’antico tempio del basket sono stati sigillati in qualche modo, ma nelle giornate di pioggia un po’ d’acqua sgocciola ugualmente sugli spalti e sull’inservibile campo di gioco. Qualche mese fa un gruppo di giornalisti casertani è tornato con la nuova proprietà all’interno del palazzetto abbandonato. Ricordando magie, finali da infarto e in generale tutto quello che c’è prima, durante e dopo la gioiosa poesia della pallacanestro, a qualcuno è sembrato di risentire l’eco dei cori di qualche anno fa. Quando il Palamaggiò era un corpo e una voce sola, capace di far tremare le gambe anche i più forti.

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