Il Foglio sportivo

Che cosa ci ha lasciato Michael Schumacher

Umberto Zapelloni

Dopo di lui i piloti sono cambiati. Ancora oggi Schumi è un’ispirazione per tanti giovani

Gli anglosassoni la chiamano Legacy, una parola che suona meglio di quella rappresentata dalla sua traduzione in italiano: eredità. Dieci anni dopo l’incidente del 29 dicembre 2013 che ha cambiato per sempre la vita di Michael Schumacher, è meglio interrogarsi su quanto ci ha lasciato, piuttosto che inseguire la verità con nuove inchieste, indirizzate sempre verso la stessa soluzione. Poco importa sapere com’è andata veramente quando è chiaro che in quella mattinata sulla neve di Meribel il destino ha avuto una parte decisiva nello stravolgere l’esistenza di uno dei piloti più forti mai visti nella storia della Formula 1. Michael avrà anche sciato dove non avrebbe dovuto, i soccorsi non saranno stati tempestivi come avrebbero potuto, ma oggi non ha più senso parlarne anche perché ormai abbiamo capito che notizie fresche non ce ne saranno. Chi sa non parla e chi parla è perché non sa veramente. “Michael c’è, è diverso ma c’è. Non ho mai incolpato Dio. È stata solo sfortuna, poteva capitare a chiunque. Certo, mi manca ogni giorno. Ma non sono l’unica a cui manca. I bambini, la famiglia, suo padre, tutti intorno a lui. Michael manca a tutti. Ma Michael c’è. E questo ci dà forza, credo”, aveva detto Corinna nei giorni in cui fu lanciato il docufilm di Netflix.

   
Ma che cosa ci ha lasciato Michael, a parte i pochi record che Hamilton o Verstappen non hanno ancora superato? La sua filosofia di vita prima di tutto: quel #keepfighting che è diventato un hashtag dal significato molto chiaro: non mollare mai. “Ho sempre creduto che non si deve mai e poi mai mollare e che bisogna sempre continuare a lottare anche se ti è rimasta una sola piccolissima chance”, disse una volta nel 2007. Era quello che faceva in pista e che non ha smesso di fare oggi. Prima lo faceva andando veloce, ora lo fa stando fermo. Ma il #keepfighting è sempre lo stesso. Ha provato a metterlo in pratica anche suo figlio Mick, ma non tutto il talento si può tramandare di padre in figlio. Michael è stato un’ ispirazione per Hamilton e Verstappen come lo era stato per Vettel. Gli ultimi campioni del mondo hanno delle tracce di Schumi. Di Vettel è quasi inutile parlare, bastano le sue fotografie da bambino accanto al campione per ricordare come Michael sia sempre stato il suo faro. Hamilton e Verstappen hanno la sua stessa voglia di applicarsi, danno tutti se stessi alla causa e amando veder crescere la squadra attorno a loro. Così come Michael trasformò la Ferrari da zucca in carrozza, hanno fatto Hamilton con la Mercedes e Mac con la Red Bull. Capacità di guida, intelligenza e applicazione sono tre doti che li accomunano.

   

   

Schumacher è stato il prototipo dell’uomo squadra. Pochi come lui sono stati tutt’uno con il team tenendo ogni critica all’interno. Michael stava di più in macchina perché ai tempi il regolamento permetteva le prove private, Hamilton avrebbe fatto lo stesso se avesse potuto e lo stesso Max che sceso dalla monoposto sale sul simulatore, non si sottrarrebbe certo. Sono professionisti esemplari e chi lavora insieme viene stimolato a spingersi oltre i limiti perché vede che loro fanno così. “Quando telefonavo a Michael per dire che avremmo potuto provare una nuova soluzione mi rispondeva solo: dimmi quando. Era sempre pronto a mettersi al volante per guadagnare un decimo”, diceva di lui Ross Brawn che spesso ha poi paragonato Michael a Lewis: “Michael era un pilota sotto molti punti di vista teatrale nei weekend di gara ed al tempo stesso una persona molto riservata nella vita di tutti i giorni. Lewis  è praticamente l’opposto: calmo ma... al tempo stesso letale quando si trova al volante, esprime invece tutto la sua gioia di vivere lontano dal mondo dei Gran Premi”. Tutti e due hanno dimostrato di poter vincere anche con una macchina inferiore, come ha fatto anche Max prima di guidare un’arma letale come l’ultima Red Bull. 

   
Schumacher ha portato su un altro livello la gestione gara. Lui sapeva leggere i gran premi come pochi. Alonso è un po’ come lui, Hamilton e Verstappen lo sono diventati, Leclerc deve ancora imparare a farlo con continuità. Anche in quanto a preparazione fisica ha alzato incredibilmente il livello proseguendo un cammino cominciato da Ayrton Senna. Schumi è stato il primo pilota a farsi seguire in pista da un camion attrezzato a palestra e si era fatto installare una palestra anche all’interno della casa di Enzo Ferrari al centro della pista di Fiorano dove spesso si fermava a dormire per essere già in pista al mattino il giorno dopo. Fare squadra significa chiamare tutti i meccanici per nome, chiedere delle loro famiglie, far arrivare un carretto del gelataio in pista a fine prove d’estate. Sapeva farsi amare dalla sua gente oltre che dai tifosi. Se c’era da fare la notte in bianco per lavorare sull’auto (allora si poteva) nessuno si tirava indietro. Adesso lo imitano un po’ tutti, ma prima non era certo così. Negli anni anche lui è cambiato, ma a una cosa non ha mai derogato, alla sua privacy. C’erano due Michael, quello pubblico e quello privato. Oggi è rimasto solo il secondo. Ma l’amore che lo circondava anche lontano dalle piste non è diminuito.

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