Foto tratta dalla pagina Facebook Unione Sportiva Saronno Rugby ASD 

Il foglio sportivo

A Saronno il rugby deve allenarsi al parco

Marco Pastonesi

"L’unico campo che potrebbe ospitarci è lo stadio del calcio, in ristrutturazione per il manto erboso, gli altri sono vincolati da convenzioni e soprattutto da gelosie, comunque zero aiuti", ci dice Raffaele Monteleone, docente di Politiche Sociali all’Università di Milano Bicocca e presidente del club

Sergio Parisse, primatista di presenze (142) nell’Italia del rugby, li ha pubblicamente e virtualmente abbracciati tutti. Martin Castrogiovanni, Paolo Vaccari e Paul Griffen, azzurri di passate generazioni nella Nazionale italiana, hanno dato il proprio sostegno su Facebook. Il Comitato lombardo della Federazione italiana li ha confortati e rassicurati. Così adesso gli 80 minirugbisti si sentono meno soli quando si allenano nei giardini pubblici di Saronno. Perché da quando l’Unione Sportiva Saronno Rugby è nata, nel 2017, i suoi bambini e bambine, i suoi ragazzini e ragazzine si devono arrangiare implorando ospitalità nei campi da calcio (e oggi nessuna può o vuole concederla), o scorrazzando nel Parco del Lura fra podisti e ciclisti, e giocando sempre in trasferta.

Se fu William Webb Ellis, uno studente inglese di origini irlandesi a inventare il rugby nel college di Rugby, è stato Luca Di Dio, un beneventano a introdurlo a Saronno (e oggi mantiene la sua vocazione missionaria perché, trasferitosi in Romagna, lo ha appena introdotto a Riccione). Di Dio cominciò in una scuola elementare, quella frequentata da sua figlia. E con lei recuperò altri cinque o sei bambini, predicando la filosofia del passaggio indietro e l’educazione del placcaggio e l’estetica della meta sul campetto in sintetico dell’oratorio Regina Pacis. Lentamente, ma tenacemente, grazie soprattutto al passaparola, i bambini pionieri si sono moltiplicati fino a superare quota 100 prima del Covid. Oggi, maglia blu, il Saronno Rugby ha squadre di Under 6, Under 8, Under 10, Under 12 e, in collaborazione con il Tradate, Under 14. Nel 2024, ancora in collaborazione con il Tradate, avrà anche l’Under 16. 

“Non pretendiamo ma non molliamo - spiega Raffaele Monteleone, docente di Politiche Sociali all’Università di Milano Bicocca e presidente del Saronno Rugby - L’amministrazione comunale ci conosce e apprezza. Ma l’unico campo che potrebbe ospitarci è lo stadio del calcio, in ristrutturazione per il manto erboso, gli altri sono vincolati da convenzioni e soprattutto da gelosie, comunque zero aiuti”. Un’area è stata individuata: quella delle feste, di solito destinata ai circhi, nel quartiere Matteotti, ma è più un sogno che un progetto. Finora solo volontariato, donazioni, amicizie dal Parabiago alle Zebre e un film di Riccardo Banfi, in bianco e nero, di 108 secondi. “Una storia di resilienza” si apre con il motto “Ogni cosa è un gioco, ogni gioco una cosa seria”, poi dà spazio, senza parole ma con musica, alle immagini dei minirugbisti (e dei loro allenatori) che sul prato del Parco del Lura si passano l’ovale, si placcano alle caviglie, cercano il sostegno, volano in meta, insomma, inseguono il vento, e infine, si abbracciano in cerchio per parlarci e forse anche per riderci su.

Monteleone non ha mai giocato a rugby, ma suo figlio è uno degli 80, ed è così che ha scoperto e si è innamorato del gioco: “Quello che succede a tanti genitori digiuni di rugby e che qui hanno trovato un modello educativo straordinario”. Ammette: “Spesso siamo i più deboli e perdiamo, ma i nostri bambini sanno stare al gioco, si divertono, crescono”. Spiega: “Organizziamo corsi di formazione per educatrici ed educatori, allenatrici e allenatori. Lavoriamo con le scuole, gratis, con progetti nelle primarie”. 

Accampati ma senza campo. E senza spogliatoio, bagno, sede, segreteria. “Paradossalmente, sarebbe quasi più importante la club house del campo – dice Monteleone -. Perché la club house è lo spazio dove si costruisce identità, appartenenza, storia. Se avessimo una club house, la prima iniziativa sarebbe trasformarla, il pomeriggio, in un doposcuola. Perché il rugby è sì uno sport, lo sport di squadra per eccellenza, ma uno stile di vita, che dà ordine e disciplina, solidarietà e amicizia. Il rugby ha un potere sociale enorme. Non a caso fino ai 12 anni maschi e femmine giocano insieme. Non a caso nelle carceri, pur con tutte le difficoltà immaginabili, ha un ruolo riabilitativo e formativo importante. Non a caso si è aperto anche ai portatori di disagi fisici e mentali”. Ha ragione Castrogiovanni: “La vita è come un pallone da rugby, che rimbalza in maniera imperfetta e imprevedibile”.

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