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L'avventura ai confini dell'uomo di Walter Bonatti

Marco Pastonesi

A Bolzano il Cai ha organizzato una mostra per ricordare il grande alpinista (che proprio il Club alpino italiano aveva ripudiato)

C’è il suo termometro con spilla da balia per sicurezza: risale agli anni Sessanta, usato anche nella solitaria invernale sulla parete Nord del Cervino nel febbraio 1965. E c’è anche la scatola di fiammiferi (sulla confezione un’immagine del Cervino visto da Zermatt) in cui lo custodiva. C’è la sua macchina per scrivere portatile su cui batteva i pezzi per il settimanale “Epoca”. La marca: Everest K2. E c’è anche la sua custodia: una valigia che, invece del manico, ha un pezzo di corda da montagna. C’è il suo passaporto rilasciato nel 1969: alla voce professione, giornalista; alla voce statura, alta. Non era così alto, Walter Bonatti, forse arrivava a 1,75, ma guardava in alto, puntava in alto, mirava in alto, scalava in alto, raggiungeva in alto, e la sua statura – quella morale – non era alta ma altissima.

Il Cai di Bolzano gli dedica la mostra “Stati di grazia” (nella Galleria Civica di piazza Domenicani, a Bolzano, da martedì a venerdì ore 10-13 e 15-18, ingresso libero, fino al 7 gennaio) e una serie di iniziative (la mostra “Senza posa” dedicata a Mario Fantin, il cineasta della spedizione italiana del 1954 sul K2, nel Museo civico di Bolzano; il film “Il mondo in camera” ancora su Mario Fantin, il 5 dicembre alle 20, al Pippo Stage, Parco Petrarca di Bolzano; il film “Italia K2” diretto da Marcello Baldi e restaurato dalla Cineteca di Bologna e dalla Cineteca Cai, il 13 dicembre alle 20.30, nel Teatro Spazio Costellazione di via Claudia Augusta a Bolzano). Un omaggio ancora più valoroso perché voluto proprio dal Cai, che Bonatti aveva ripudiato e denunciato per non aver accolto la sua versione su quanto accadde l’ultima notte prima della conquista del K2: Bonatti e l’hunza Amir Mahdi, che ad Achille Compagnoni e Lino Lacedelli avevano portato le bombole di ossigeno, costretti a trascorrere la notte all’addiaccio – senza tenda, senza sacchi a pelo, senza niente – a temperature intorno ai -50°. Una versione finalmente riconosciuta dal Cai più di 50 anni dopo.

Bonatti era l’alpinismo. Nella sua purezza, nel suo coraggio. Nel suo sogno, nel suo bisogno. Nel suo stato di grazia. E come si sottolinea nel sottotitolo della mostra, nella sua “avventura ai confini dell’uomo”. Non oltre, ma dentro. Spostando quel confine, dunque quella frontiera, quel limite, ogni volta un po’ più in là, un po’ più in su. Finché, chiuso il capitolo alpinismo, aperì quello della esplorazione. E allora il verticalismo si trasformò in orizzontalismo e in altri orizzonti. Bonatti spiegava: “Innanzitutto fa paura tutto ciò che non si conosce. Quindi io faccio del mio meglio per conoscere. E così riduco la mia paura”.

“Stati di grazia” è solo una parte della grandiosa memoria di Bonatti, un archivio (riordinato, catalogato e digitalizzato) patrimonio dell’umanità donato al Museo nazionale della montagna di Torino dagli eredi dell’alpinista ed esploratore. Qui a Bolzano c’è il martello da roccia Cassin, con manico di legno foderato di nastro isolante per migliorarne la presa, anch’esso adoperato durante la salita invernale sulla Nord del Cervino. C’è l’essenziale telegramma – quei due non avevano bisogno di tante parole, anche se poi le avrebbero usate per descrivere e raccontare, anche per attaccare e difendersi - inviato da Madonna di Campiglio per celebrare quell’evento: bravissimo Cesare Maestri. C’è il libro della versione ufficiale al K2 firmato da Ardito Desio, su cui Bonatti aveva segnato, a matita, le sue precisazioni e correzioni. Inflessibile, incorruttibile.

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