Maurizio Barendson con sua moglie Liliana nel 1970 (foto Getty Images) 

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Maurizio Barendson: l'uomo che inventò Novantesimo minuto (e molto altro)

Gino Cervi

Il giornalista televisivo è stato uno dei pionieri del giornalismo sportivo alla Rai e un grande innovatore della televisione italiana. Avrebbe compiuto cent'anni oggi

A differenza dei suoi compagni di liceo che vissero a lungo, molti ben oltre i novantanni, e che, a Napoli, tra la fine degli anni Trenta e i primi anni del dopoguerra, sotto il nome de “i ragazzi di via Chiaia”, furono la meglio gioventù di una generazione di luminose idee e di belle speranze, cresciuta insofferente sotto il fascismo e poi divenuta rapidamente adulta nei giorni della Liberazione, Maurizio Barendson, nato cento anni fa, il 9 novembre 1923, morì presto. Aveva infatti poco più di 54 anni quando, nel gennaio del 1978, non sopravvisse all’intervento chirurgico a cui era stato sottoposto alcuni giorni prima in una clinica romana. Ma la sua vita era stata piena di cose che meritano di essere ricordate.

Il suo cognome nordico portava il segno di lontane origini olandesi. Orafi ebrei in fuga dall’Olanda alla fine del Settecento, dopo un passaggio ad Arras, nella Francia del Nord, dove abiurarono la loro religione d’origine, i Barendson nell’Ottocento approdarono a Napoli a esercitare il commercio e a mettere radici nella colta borghesia partenopea.

Negli anni Trenta Maurizio frequentò il Liceo Umberto I, negli stessi anni in cui erano studenti nomi che avrebbero poi lasciato la loro firma nel cinema, nel teatro e nella letteratura italiana, come Francesco Rosi (1922-2015) e Giuseppe Patroni Griffi (1921-2005), Achille Millo (1921-2006) e Raffaele La Capria (1922-2022), per non dire addirittura di un futuro presidente della Repubblica, come Giorgio Napolitano (1925-2023).

Ventenne, nel 1943, Barendson vinse una borsa di studio presso il Centro sperimentale di cinematografia di Roma, ma l’esperienza si interruppe a causa degli eventi bellici che, a seguito dell’armistizio e dell’avanzata degli Alleati dal Sud della Penisola troncarono l’Italia in due. Nel primo dopoguerra entrò a far parte della redazione del quotidiano romano “Il Tempo”, e poi de “Il Giornale d’Italia”. Iniziò a occuparsi di sport nel 1949, ma fu a partire dalla metà degli anni Cinquanta, dopo essere entrato in Rai che diventò un volto nuovo della televisione. Insieme ad Antonio Ghirelli (1922-2012), anche lui un “ragazzo di via Chiaia”, realizzò nel 1956 un primo documentario sullo sport dal titolo Azzurro come Italia e, due anni dopo, inaugurò come autore il primo format di “rotocalco sportivo”, con il programma settimanale Sprint, progenitore di una fortunata serie di derivazioni ed evoluzioni che per anni ha punteggiato i palinsesti Rai e a cui, in origine, Barendson diede un’impronta critica, contaminando gli argomenti di cronaca sportiva con commenti affidati a voci eterogenee della cultura contemporanea: il regista Nanni Loy che parla del Cagliari, un reportage di Demetrio Volcic da Trieste nel decennale della morte del poeta Umberto Saba che aveva cantato negli anni Trenta la squadra cittadina dei rosso-alabardati, tanto per fare due esempi.

Ma la grande notorietà di Maurizio Barendson è stata l’invenzione, a partire dal 1970, e insieme al collega Paolo Valenti, di Novantesimo minuto, la rubrica televisiva che nel tardo pomeriggio della domenica trasmetteva le “azioni salienti” delle partite di Serie A appena concluse, una pietra miliare della storia dello sport in televisione e un indimenticabile punto di riferimento nell’immaginario collettivo dell’Italia del calcio di quegli anni. Sempre a lui si deve la nascita di un’altra storica trasmissione di approfondimento sportivo come Dribbling, nel 1973. Pochi invece ricordano che, divenuto capo della redazione sportiva del Tg2, in seguito alla riforma televisiva del 1976 – quella che trasformò, tanto per rimanere esclusivamente sul piano nominale i “canali” in “reti” – fu l’ideatore – oltre che conduttore per la prima stagione – de L’Altra Domenica, la trasmissione in diretta di sport e spettacolo che intratteneva gli spettatori TV sulla Rete 2 il pomeriggio della domenica, alternando i risultati delle partite e di altri eventi sportivi con un rivoluzionario menu di varietà e musica, e che aveva come mattatore un memorabile Renzo Arbore attorniato da una stralunata e semiseria compagnia di giro di nuovi comici e improbabili inviati.

In quegli anni era talmente popolare il volto di Maurizio Barendson che si guadagnò la parodia di Alighiero Noschese, il Crozza degli anni 60-70, che imperversava con le imitazioni dei personaggi immortalati dalla TV, dai giornalisti ai politici, dai cantanti alle soubrette. Quando morì scrisse di lui Giovanni Arpino dalle colonne de La Stampa: "Curioso e umano. Alcuni dicono: troppo umano. Per indicare non un limite, ma quasi un 'handicap' in questo mondo fatto di spigoli bruti, di angolature crudeli. La sua qualità la si poteva identificare in uno stile, sia di vita sia di mestiere. Era aereo, ironico. La sua parola misurata. Il suo tocco lieve erano legati alla persona, non facilmente trasmissibili".

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