Foto Epa, via Ansa

comunicare le leggi

Il paradosso di Schrödinger applicato allo sport: lo ius soli sportivo che non c'è anche se c'è

Giovanni Battistuzzi

La norma che permetteva il tesseramento di un minore solo presentando un certificato di residenza è nella situazione del gatto nella scatola d'acciaio: può essere al tempo stesso sia vivo sia morto

A fornire risultati paradossali in un sistema fisico macroscopico non è soltanto la fisica quantistica ma anche la burocrazia applicata allo sport italiano. Così, come nell’esperimento mentale di Erwin Schrödinger un gatto all’interno di una scatola d’acciaio con un contatore Geiger al cui interno è presente una sostanza radioattiva può essere al tempo stesso sia vivo sia morto, allo stesso modo nel calcio lo ius soli sportivo è stato esistente e non esistente. Un paradosso.

È successo che a Reggio Emilia una squadra si è dovuta ritirare dal campionato perché la richiesta di tesseramento di otto ragazzini nati in Italia ma allo stesso tempo extracomunitari è stata respinta dalla sede centrale della Figc per mancanza dei documenti necessari, quelli che l’introduzione a suo tempo, era il 2016, dello ius soli sportivo aveva reso non necessari. Dopo quella legge, per il tesseramento bastava un certificato di residenza, non serviva fornire un attestato di frequentazione della scuola da più di 365 giorni, una dichiarazione del datore di lavoro sulla regolarità dei contratti dei genitori (o dei tutori), del permesso di soggiorno e dell’atto di nascita in originale (tradotto in italiano). E’ accaduto che si pensasse che lo ius soli sportivo fosse stato abrogato. Che ora per i bambini con meno di dodici anni al primo tesseramento in una squadra giovanile nel nostro paese ci volesse ancora tutta la documentazione pre 2016. Eppure così non era davvero, o meglio era sia vero sia falso allo stesso tempo. E questo perché la comunicazione non sempre funziona come dovrebbe.

Il 28 febbraio 2021 il governo, in attuazione alla legge delega dell’8 agosto 2019 n. 86, aveva deciso di riordinare e semplificare le norme in tema di sport e attività motoria. Tra i temi che andavano normati ci sarebbe dovuto essere pure il cosiddetto ius soli sportivo. L’intento era corretto: dare la possibilità ai minori nati o cresciuti in Italia da genitori extracomunitari di avere, almeno in ambito sportivo, le stesse possibilità dei bambini italiani di praticare uno sport, ma rendendo impossibile la compravendita di giovani atleti dall’estero. Il governo però nel dl del 29 agosto 2023 n. 120, ha ignorato quella parte della legge delega. Almeno per ora, agirà in seguito. Ha lasciato tutto com’era, ossia ha ignorato la richiesta di estendere lo ius soli sportivo a tutti i minori senza limitazioni di età minima, “anche non in regola con le norme relative all’ingresso e al soggiorno, laddove siano iscritti da almeno un anno a una qualsiasi classe dell’ordinamento scolastico”.

Lo sport si è trovato così nel paradosso di avere una legge sullo ius soli sportivo e non averla perché la legge che doveva modificarlo non lo ha modificato e non avendolo modificato è stato comunicato che si ritornava al passato. Quale passato non è stato detto. Uno spazio grigio nel quale è bastato lo zelo di un funzionario della federazione provinciale per mettere in crisi il sistema e farci capire che il gatto poteva essere considerato sia vivo sia morto. Il vecchio Giovanni Trapattoni la faceva troppo facile quando diceva non dire gatto se non ce lo hai nel sacco.

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