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tra sport e affetti

Quella distanza che si è creata con i campioni non ci fa capire la loro umanità

Giovanni Battistuzzi

Gaël Monfils ha detto che non starà più sette settimane lontano da casa per giocare a tennis dopo la nascita di sua figlia. È stato criticato dopo aver detto questo. In un mondo dove il confine tra sport ed epica è talmente sottile da essere trasparente ci stiamo dimenticando che gli sportivi sono anche uomini

Gaël Monfils è un tennista francese, ha 37 anni, è stato in carriera il numero 6 al mondo nel ranking Atp, era il 2016. Forse non un campione, un ottimo tennista senz’altro: una semifinale al Roland Garros e una agli Us Open, 11 vittorie in carriera, la soddisfazione di aver battuto sia Roger Federer che Rafael Nadal, anche se mai in uno dei quattro grandi appuntamenti del tennis (Australian Open, Roland Garros, Wimbledon, Us Open). Ora va meno bene di un tempo, il tempo rallenta anche i più forti. Per prepararsi al meglio agli Us Open 2023 è da luglio che sta in America: prima ha preso parte all’Atp 250 di Atlanta, poi al 500 di Washington, al Master 1.000 di Toronto, infine all’Atp Master 1.000 di Cincinnati. A Bertrand Lagacherie dell’Equipe, Gaël Monfils ha detto che tutto ciò non lo farà mai più. E non perché è fisicamente difficile, perché “è mentalmente stressante”. Ha spiegato il tennista francese che “ha iniziato a essere troppo duro rimanere lontano così a lungo da mia figlia (nata nell’ottobre 2022, ndr)”. Ha aggiunto: “Ora sette settimane lontane da casa sono un sacrificio che non voglio e posso più fare. So benissimo che ora mi devo adattare più a mia figlia che al tennis. Qualcosa è cambiato, le mie priorità sono altre”. Questa frase ha creato un po’ di polemiche in Francia. C’è chi ha sospettato che dicesse così solo perché non riesce più a vincere, chi ha sottolineato che gioca a tennis, non lavora in fabbrica, chi gli ha rinfacciato che tutto ciò è il tipico vittimismo dei privilegiati.
Gaël Monfils è un buon tennista, guadagna bene, fa quello che in tanti vorrebbero fare: vivere di sport. Eppure è un uomo, soprattutto un uomo.

A volte ci scordiamo di questo. Siamo abituati a vivere in un mondo dove il confine tra sport ed epica è talmente sottile da essere trasparente, dove i campioni assomigliano più a semidei che a persone fatte di muscoli, tendini, ossa e sentimenti. Sono esaltati e incensati perché fanno gesta atletiche che gli altri uomini o donne non sono capaci di fare, ci vanno nemmeno vicini. Non uomini o donne, più che uomini e più che donne. Li tifiamo, a volte li adoriamo, gioiamo e imprechiamo per loro e con loro per questo. Ma da una certa lontananza, quella che separa il nostro quotidiano e la nostra esperienza sportiva dal loro quotidiano e dalla loro esperienza sportiva. E ci separa il contante, quelle cifre che leggiamo e che sono parecchio distanti dalle nostre. C’è sempre un fondo di invidia, in fin dei conti, nel rapporto che abbiamo con gli sportivi. E questo ci porta a non capire perché a volte si lamentino. Fanno sport, sono pagati molto per fare ciò che in molti fanno pagando di tasca loro e questo per una parte, non minoritaria, degli sportivi da poltrona e telecomando è qualcosa di intollerabile. E si usano frasi come: “Con il suo talento e la mia testa chissà cosa farei”; oppure: “Il loro mestiere è giocare, mica lavorare”.

Non è gioco, è lavoro e duro, fatto di privazioni e di compromessi, esistenze vissute intensamente, ma solo in parte. E più sono intense e più lasciano qualcosa in disparte. A volte ciò che più è importante: gli affetti. Soprattutto in certi sport. Ciclisti e tennisti sono gli sportivi che stanno più lontano da casa. Hanno gare e ritiri, settimane e settimane distanti dalle persone con cui vorrebbero stare. Non è cosa semplice, anzi. E’ qualcosa che può generare crisi mentali, e con una certa facilità. Lo si è visto con il campione di ciclismo Tom Dumoulin ritiratosi a trentadue anni, con altri ciclisti e tennisti in questi anni. Lo si è visto in crolli inspiegabili e ingiustificati. O forse giustificabilissimi. Sono atleti, vero. Sono uomini e donne, soprattutto uomini e donne.

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