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Il Foglio sportivo

Agli Us Open attenti ai soliti due: Alcaraz e Djokovic. E alla vendetta di Sinner

Giorgia Mecca

Lo spagnolo e il serbo sono i grandi favoriti del torneo americano. L'italiano numero 6 al mondo cerca un rivincita

Il rancore è la miglior motivazione che ci sia. Dietro le strette di mano, i discorsi obbligati e i tweet di congratulazioni, il day after dei perdenti in finale non guarda mai al torneo successivo, ma è, piuttosto, una seduta di psicoanalisi che tira fuori il peggio di te. Le sconfitte sono lezioni nella misura in cui ti fanno pensare: “Io quella sensazione lì non la voglio provare mai più”. Ciò che tiene in piedi i campioni non è il desiderio di essere migliori, è la frustrazione.

Perché rimanere quattro ore in campo, sudati, marci e invecchiati? Per vincere il titolo numero 95 o per cancellare l’onta della sconfitta precedente contro chi ti sta di fronte? Per aggiungere un altro tassello a un puzzle che continua da vent’anni o per non provare quelle orribili emozioni provate a Wimbledon? È più grande la rabbia nelle sconfitte che la gioia nelle vittorie. Quando a Cincinnati Novak Djokovic si è squarciato la maglietta dopo aver vinto al tie break del terzo set contro Carlo Alcaraz non era felice per aver vinto, è sembrato invece sollevato per non aver perso, di nuovo, contro un avversario di sedici anni più giovane.

Dopo il ban dello scorso anno che gli ha impedito l’ingresso negli Stati Uniti, la campagna americana dell’ex numero uno al mondo serbo, cominciata con il Western&Southern Open, prosegue agli Us Open, dove cercherà di tornare numero uno al mondo (gli basta vincere il primo turno contro il francese Muller) e di vincere, o meglio, non perdere il suo Slam numero 23, record dei record dei record, nel campo in cui ha vinto di meno, “soltanto” tre titoli.

Per Djokovic il 2023 è cominciato con un unico comandamento. Ripreso il pieno potere di viaggiare ovunque, soltanto un dettaglio continuava a mancare al suo infinito appello: il Grande Slam, pensiero stupendo e proibito, primo motore di frustrazione. In termini pratici si tratta di ventotto vittorie consecutive a livello major. A gennaio dall’Australia arrivano le prime sette. Pochi mesi dopo, nella Parigi orfana di Nadal per un anno (e tra un anno per sempre), ecco il primo ostacolo: Carlos Alcaraz. Ci si aspettava una semifinale epica, il vecchio millennio contro il nuovo, invece allo spagnolo sono venuti i crampi. Stanchezza? No, paura. Una paura che gli ha paralizzato prima una mano, poi il braccio, infine le gambe. Risultato? 3-6 7-5 6-1 6-1 in favore del vecchio mondo, che in Francia conquista un altro Slam e arriva a quattordici vittorie consecutive a livello major in stagione, ne mancano altre 14 per realizzare il pensiero stupendo. Novak Djokovic arriva a Wimbledon favorito più che mai, non si nasconde più di fronte ai riferimenti al Grande Slam, sorride, risponde vediamo. Il campo Centrale è il suo giardino, non perde una partita da dieci anni, in finale si troverà di fronte Alcaraz, questa sì, una finale epica. Visto il precedente, le aspettative sono più basse: Djokovic vince il primo set 6-1, la fiducia in Alcaraz vacilla: “Ma siamo sicuri che sia davvero un campione?”. Lo è e lo dimostra in modo spietato, vince 6-4 al quinto set, sporcando il prato dell’ex campione. “Non posso che fargli i complimenti”, ha detto il perdente al campione. Senza dubbio era sincero, senza dubbio avrebbe preferito cavarsi gli occhi piuttosto che perdere un’altra volta. Ed ecco allora Cincinnati, quattro ore e un caldo da impazzire, Djokovic che sembra più vecchio che mai forse perché di fronte a lui c’è la gioventù in persona, Djokovic tenuto in piedi dalla rabbia e dalla rabbia reso campione, Djokovic che ride e urla mentre Alcaraz piange nascosto sotto l’asciugamano e pensa, questa volta lui, “Io questa sensazione non la voglio provare mai più”. 

Flushing Meadows li sta aspettando, e aspetta anche Jannik Sinner che secondo The Athletic, dopo la vittoria a Toronto, entra di diritto nella short list dei favoriti per la vittoria del torneo. L’anno scorso a New York l’azzurro numero sei al mondo era stato protagonista di un quarto di finale memorabile contro Alcaraz, perso in cinque ore al quinto set. Quest’anno potrebbe ottenere la sua vendetta, sempre nei quarti di finale. La sua vittoria a Toronto e la sua sconfitta a New York sono entrambe una motivazione.

L’anno scorso di questi tempi Roger Federer annunciava il suo ritiro, tutti per un attimo hanno pensato che il tennis fosse finito, game over. La verità è che aveva ragione lui, ancora una volta, quando diceva che non è vero, che il tennis sarà sempre qui. Nemmeno agli Us Open ci sarà spazio per la nostalgia.