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Crocicchi #1

Per qualche centimetro la Lazio perse la via

Enrico Veronese

Dal perfetto manifesto del sarrismo respinto con il piede da Wladimiro Falcone alla beffa finale dei due gol del Lecce. Cronaca di una domenica biancazzurra parecchio imperfetta 

Crocicchi è la rubrica di Enrico Veronese che ci terrà compagnia in questi mesi di Serie A. Sarà il racconto, giornata dopo giornata, degli incastri imperfetti che il calcio sa mettere in un campo di gioco, di tutto ciò che sarebbe potuto essere, ma non è stato. Che poi, in fondo, è il bello del calcio.

 


    

La via vecchia, la via nuova. Il sentiero più battuto, quello meno. La cattiva strada, contrapposta a quella giusta. In questi giorni d’estate discendente, nei percorsi montani i trekker dilettanti e gli avveduti si disperdono a ciascun crocicchio, segnalato dal Club alpino oppure di fatto concludente: è il momento in cui la direzione prende una determinata piega, non si torna più indietro e l’esito dipende soprattutto da quella scelta. Nel calcio è lo stesso, e ogni settimana il torneo di Serie A lo ricorda, partita dopo partita: i narratori remoti evocherebbero Ecate, dea protettrice degli incroci, credute infestazioni da presenze demoniache. Non è un caso che proprio al bivio, trivio, quadrivio siano stati associati briganti e prostitute, taglieggiatori e taverne, da scongiurare in età cristiana erigendo capitelli mariani propizi. Così un infortunio (El Bilal Touré che regala minuti a Charles de Ketelaere, per la prima volta decisivo), la scommessa vincente riguardo un giovane della Primavera – Michael Kayode e Patrick Dorgu, de vos fabula narratur – o il classico rigore negato diventano pensieri, parole, opere, omissioni che deviano il corso della storia da quello che avrebbe potuto o dovuto essere, metà calcio immaginario metà serendipity. Non è dato sincerarsi se l’etimo di ecatombe ha a che vedere con Ecate, è presumibile di sì, ma certo Maurizio Sarri avrà toscanamente smadonnato quando allo stadio Via del Mare di Lecce è andato in scena il più completo effetto delle porte scorrevoli, care alla cinematografia di Gwyneth Paltrow.

Una Lazio di fini dicitori (il filtrante geometrico che porta allo 0-1 parte addirittura dalla difesa) presenta la candida e abbacinante nuova polo da yacht club, segna relativamente presto e rimane in controllo per gran parte del match, sfiorando più volte lo 0-2 con Manuel Lazzari e Felipe Anderson. Al minuto 81, da sinistra, triangolo tiki in un fazzoletto: grazie al gioco degli anticipi, il mago Luis Alberto e l’eterno giocoliere Pedro nascondono la palla a Marin Pongračić e Joan González – peraltro canterano blaugrana – liberando al tiro Ciro Immobile. Il manifesto del sarrismo sarebbe perfetto se la conclusione della punta, piattone basic a porta spalancata, trovasse naturale conclusione dentro la porta gonfiata. Invece il rigore in movimento, per niente errato o “troppo pulito”, si trasforma nell’esaltazione dei riflessi di Vladimiro Falcone, che apre il compasso del piede destro, un po’ portiere dell’hockey un po’ Garella: la sfera si inerpica in un campanile pizzuliano, tozza parabola impazzita che incoccia appieno la parte bassa traversa e rientra in campo, dove ancora Falcone si erge a protagonista bloccando la percussione in contropressing di Luca Pellegrini, Matías Vecino e ancora il numero 10.

Solo tre minuti dopo, la sceneggiatura della partita riserva lo switch fino ad allora impensabile: il Lecce la ribalta e a Sarri, già nervoso per gli incroci di calendario, rimane un pugno di mosche in mano, senza il tempo per ulteriori rabberci estremi. Sarebbero tuttavia bastati due centimetri in meno, nella traiettoria deviata dal pur eccellente Falcone, per far capitolare i padroni di casa una seconda volta, consegnare al tecnico biancoazzurro franchi argomenti di soddisfazione in sala stampa, issare il centravanti laziale nel primo trono dei bomber con Victor Osimhen e Lautaro Martínez, ricordare il suo nome al neo ct Luciano Spalletti per i prossimi impegni (tra la tentazione di aspettare Gianluca Scamacca e la fiducia da nutrire in Martín Retegui), infine marcare la prima quanto fatua supremazia cittadina nei confronti di una Roma che stenta e a fatica raggiunge il pareggio contro la Salernitana. Quanti risultati andati in fumo per una “questione di centimetri”, ché al confronto era bono er go’ de Turone, capostipite di tutti i crocevia.