Foto dal canale YouTube di Claudio Unicorni 

Il Foglio sportivo

Palanca e i suoi gol dalla bandierina. “Ridicolo vedere come calciano oggi”

Alberto Facchinetti

Era chiamato "Piedino di fata", bandiera del Catanzaro e giocatore del Napoli premaradoniano. Compie 70 anni oggi e porta ancora i baffi come una volta, solo sbiancati dal tempo

I suoi baffoni iconici vengono riconosciuti in giro per l’Italia e lui, Massimo Palanca, il calciatore che negli anni Settanta e Ottanta segnava direttamente dal calcio d’angolo, si ferma volentieri con gli appassionati di pallone che chiedono conto di quei corner battuti con il piede mancino. Nelle statistiche ne risultano tredici, ma lui racconta siano anche di più, perché un tempo anche le piccole deviazioni dell’avversario passavano sotto il filtro dell’autogol. “Calciavo molto bene le punizioni a giro – racconta – allora ho pensato di poter fare lo stesso dal calcio d’angolo. Spesso è andata bene. Ma da soli non si riesce a fare gol dal corner, serve sempre un aiuto di almeno un compagno. A Catanzaro era Claudio Ranieri ad andare a disturbare il portiere in modo che la palla potesse entrare. A quei tempi i portieri mettevano un uomo sul primo palo, talvolta uno anche sull’altro. Oggi non lo fanno quasi più, ma vedo che dall’angolo calciano sempre verso fuori. Dybala è diverso, ogni tanto prova a imitarmi”. 

Il gol da calcio d’angolo si chiama Olimpico e ha preso il nome da una rete realizzata da un connazionale della Joya romana. Cesáreo Onzari andò in rete così con la maglia della Selección argentina in un’amichevole contro quella uruguaiana che aveva appena trionfato alle Olimpiadi del 1924. Nella Serie A italiana Maradona, Roberto Baggio, Mihajlovicć, Recoba (il meglio lo diede soprattutto nel finale di carriera in Uruguay) hanno flirtato con la bandierina, ma mai nessuno ha avuto un rapporto così stretto come Palanca.

Massimo è un piccoletto con un piede educatissimo, su cui ha lavorato già in giovane età, crescendo letteralmente nel vecchio stadio di Porto Recanati, oggi trasformato in un parcheggio, dove il papà Enzo faceva il custode e aveva trasferito la famiglia a vivere proprio lì, all’interno dell’impianto. Massimo seguiva tutti gli allenamenti e le partite. Calcio e solo calcio. Nel tempo libero giocava nell’oratorio dei salesiani, famoso perché negli anni ha consegnato al professionismo parecchi altri calciatori, tra cui il fratello Gianni Palanca (un difensore mancino che ha giocato in serie B), Beniamino Di Giacomo, Damiano Morra e Luciano Panetti.

Durante la carriera i soprannomi di Massimo Palanca sono stati “O Rey”, “Piedino d’oro” e “Piedino di fata”. “Ho un piede piccolo, ma tozzo. Anche oggi fatico a trovare scarpe per tutti i giorni, in campo indossavo un 37, adesso mi capita di farmi andare bene dei 39 più corti. La Pantofola d’Oro, l’azienda di scarpe marchigiana, doveva farmeli su misura”. Palanca compie 70 anni il 21 agosto, porta ancora i baffi come una volta, solo sbiancati dal tempo. “Li ho da quando avevo 17 anni e non li ho mai più tagliati. Papà, che è stato un calciatore dilettante, li aveva e io appena ho potuto, per spirito di emulazione, me li sono fatti crescere, poi ho conosciuto quella che sarebbe diventata mia moglie e a lei piacevano. Adesso piacciono alle mie nipotine, per cui non posso più stare senza!”.

Oltre ad essere diventato una bandiera del Catanzaro, dove ha giocato in due diverse riprese, ha vestito la maglia del Camerino tra i dilettanti, quindi di Frosinone, Napoli, Como e Foligno, chiudendo la carriera nel 1990. “Quest’anno faccio cifra tonda e il Catanzaro è stato promosso in B, il Frosinone in A e il Napoli ha vinto lo scudetto. Andrò sicuramente a festeggiare a Catanzaro, dove ho lasciato un pezzo del mio cuore. In ogni città dove ho giocato, io ho abitato in centro per poter sentire il calore dei tifosi, che a me hanno dato sempre dato affetto. Non potevo stare senza e infatti ho sempre fatto una vita normale, andando al supermercato con mia moglie e portando i figli a scuola”.

Palanca ha disputato una partita anche con la maglia azzurra della Nazionale sperimentale di Enzo Bearzot, che nel 1979 venne sconfitta a Genova dalla Germania Ovest. “In un’occasione avevo sfiorato anche la Nazionale di C, ma per una serie di coincidenze sfortunate non ho esordito. Ma non è un rammarico non aver avuto altre possibilità con gli azzurri. Va tenuto conto che quella generazione era composta da attaccanti come Paolo Rossi, Graziani, Bettega, Altobelli… Piuttosto sono dispiaciuto di non aver inciso a Napoli come avrei voluto”. Palanca fece due stagioni nell’era premaradoniana, ma non riuscì mai ad avere un rendimento elevato. “Sbagliai due rigori a inizio stagione, in Coppa Italia, questo mi ha penalizzato nella fiducia e nel rapporto con i tifosi, anche con l’allenatore Marchesi non ci fu mai un vero feeling. Ho giocato con fuoriclasse come Krol, ma io ricordo con piacere soprattutto quei compagni che grazie all’impegno e al lavoro sono riusciti a diventare degli ottimi giocatori, Enrico Nicolini è un esempio. Il bravo calciatore è quello che conosce i propri limiti. Il lavoro paga sempre. Con il sinistro che mi ritrovavo, per anni non ho avuto particolare bisogno del destro, poi dopo una distorsione al piede forte lavorai molto con l’altro e migliorai notevolmente a dimostrazione che si può sempre perfezionarsi, un messaggio che vorrei i giovani capissero”.

Tra gli allenatori preferiti certamente Gianni Di Marzio e Carlo Mazzone. “Soprattutto Mazzone era un passo avanti rispetto agli altri suoi colleghi, non ha mai allenato Juve, Milan, Inter perché aveva la lingua lunga e diceva sempre quello che pensava a dirigenti e presidenti. Ma è stato un mister formidabile, che mi ha dato tanto. Fino al giovedì in allenamento si rideva e scherzava poi entrava in trance agonistica per la partita e si trasformava. Nessun allenatore mi ha mai detto nulla per come calciavo i corner o per certi tocchi d’esterno, una volta il talento veniva incentivato. Oggi è ridicolo vedere come calciano e marcano”. Maglia numero undici, Palanca giocava da seconda punta o da centravanti (segnava anche di testa malgrado la statura non esattamente da corazziere). Ha vinto quattro volte il titolo di capocannoniere: nel 1974 con il Frosinone in Serie C, nel 1978 con il Catanzaro in Serie B, nel 1979 quello di Coppa Italia sempre con il Catanzaro e nel 1987 ancora con il Catanzaro in C1. Ma nella storia pop del calcio italiano rimarrà per i suoi gol dalla bandierina.

Di più su questi argomenti: