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Il Foglio sportivo

Dentro il Subbuteo, dove i campioni siamo sempre noi 

Francesco Gottardi

Il calcio da tavolo vive una seconda giovinezza. Oggi c’è anche Subbuteoland. Abbiamo vinto 16 mondiali

C’è un calcio in cui l’Italia è rimasta ancora agli anni Ottanta, nel senso buono del termine. “Quando i migliori giocatori stranieri volevano tutti venire nella nostra Serie A”, spiega Marco Lamberti all’Adnkronos. “E oggi nel Subbuteo è lo stesso”. A Roma l’anno scorso, il commissario tecnico ha guidato la Nazionale Open al sedicesimo trionfo mondiale. Su 23 edizioni complessive. Un dominio totale, suggellato da una pioggia di medaglie – altri 8 ori soltanto nel 2022 – in ogni categoria: dalle ragazze alle giovanili, dai ‘veteran’ ai tornei individuali. Quest’estate fari puntati sull’Europeo, a Gibilterra il prossimo settembre. Inutile dire chi sono i favoriti. Ma da dove nasce questa silenziosa supremazia, all’interno di un gioco che nel tempo s’è fatto sport? Perché noi tutti abbiamo in mente il fascino un po’ rétro dei calciatori mossi a colpetti di dita, su quella superficie biliardesca e con le pedine dipinte a mano a ingolosire i collezionisti. Meno noto, forse, è che ora il Subbuteo vive una seconda giovinezza. E agli appassionati della vecchia scuola si è affiancato il successo del calcio da tavolo.

   

   

Il potenziale agonistico del passatempo era stato intuito sin dal suo inventore: l’ornitologo inglese Peter Adolph, che nel 1947 brevetta il gioco e lo battezza in onore del falco subbuteo – occorre la rapidità del rapace, per realizzare certi gol in miniatura. Nel 1971 il cosiddetto Subbuteo sbarca a Genova, attraverso la ditta Edilio Parodi, e da lì si diffonde in tutta Italia. Segna la gioventù di un paio di generazioni, poi sembra perdersi. La concorrenza dei videogame calcistici si fa sempre più serrata. E le simulazioni analogiche non riescono a tenere il passo: Hasbro, che aveva rilevato il marchio una decina di anni prima, nel 2000 decide di cessare la produzione di Subbuteo. È il momento più duro. Intanto però, su un piano parallelo, stava già emergendo la nuova dimensione del gioco. E cioè non un’insostenibile alternativa vintage alla PlaySstation, ma una disciplina sportiva a tutti gli effetti: il calcio da tavolo, appunto, che evolve dal Subbuteo, ne codifica il regolamento e struttura i suoi spazi di gioco. Un’organizzazione internazionale (Fistf) sulla falsariga della Fifa esiste dal 1993 e la Federazione italiana sportiva calcio tavolo (Fisct) è la sua controparte sul territorio.

Da allora il Subbuteo si è spostato dalle case e dai bar alle sedi dedicate, dove si svolgono competizioni ufficiali in tutto il mondo. Per classificare i giocatori si procede come nel tennis e negli scacchi, con specifici ranking Fistf individuali e a squadre.

      

Breve focus sull’Italia. Tra campionati regionali e nazionali, il nostro movimento conta circa 2.000 membri e 129 club iscritti alla Fisct: il numero è in costante crescita e non tiene conto dell’indefinita zona d’ombra amatoriale. Perché tuttora molti praticanti non aderiscono alla Federazione. O ne scelgono un’altra: la OldSubbuteo, che da anni raccoglie chi è rimasto fedele al carattere ludico e autodidatta delle partite come una volta. Così, per non disperdere gli appassionati, nel 2018 è stata presentata la Lega Nazionale Subbuteo: si tratta di una novità super partes, che si colloca all’interno del programma Opes Italia, un ente di promozione sportiva affiliato al Coni. È una svolta determinante, perché per la prima volta il calcio da tavolo trova riconoscimento istituzionale oltre i propri circuiti. L’obiettivo di lungo periodo? Consolidare la presenza sul territorio. E ottenere l’agognato riconoscimento – ma qui serve il placet del Cio – di disciplina olimpica.

Siamo ancora lontani. Il Subbuteo non smuoverà le masse ma tra gli sport di nicchia è pur sempre un fiore all’occhiello, specie nel nostro paese. Funziona perché viene vissuto collettivamente, un tavolo in fila all’altro, favorendo l’aggregazione di chi vi gioca e chi vi assiste. Si dice che sia un divertimento senza tempo. E infatti è un autentico ponte generazionale: raramente, nel panorama sportivo, si trova qualcosa in grado di coinvolgere uno spettro così ampio di partecipanti, dagli Under 12 agli Over 45 all’interno dello stesso evento di punta. Eppure il Mondiale di calcio da tavolo è così. E per giunta a forte tinte tricolori: nella storia della competizione, l’Italia ha vinto oltre 60 medaglie complessive. Più del triplo di qualsiasi altra nazionale – seguono ben distaccati il Belgio, battuto nell’ultima finale, e la Spagna.

Come mai tanto successo? La vita comunitaria aiuta, la militanza locale pure. Ma soprattutto, a differenza del pallone possiamo contare su infrastrutture all’avanguardia: basti pensare a Subbuteoland, “la Wimbledon del calcio da tavolo”, con 32 postazioni in un unico padiglione, in provincia di Reggio Emilia. Non è un caso a sé stante. Dai circoli sul lungomare toscano al recente exploit di Bari, passando per Roma e Napoli, il Subbuteo fa breccia in tutta la penisola. Ma la regione regina, con undici club riconosciuti su un milione e mezzo di abitanti, è sempre la Liguria. Là dove la storia era iniziata. E pure ripartita: mentre Hasbro gettava la spugna, la ditta Parodi ha continuato ad avere la concessione di vendita per il prodotto. E ne ha elaborato la sua personalissima versione, tra operazione nostalgia e un po’ di campanilismo da stadio. Se mai vorrete comprarlo, oggi online non troverete Subbuteo – salvo i pezzi unici su eBay – ma Zuego. Che in genovese significa gioco. Kit base a 45 euro, squadra blu contro squadra rossa: con un po’ di fantasia è quasi un derby della Lanterna. Ma quando in campo c’erano Vialli e Skuhravy.

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