Rui Patricio e Bono (LaPresse)

Il Foglio sportivo - Il ritratto di Bonanza

Siviglia-Roma e la vita in un rigore

Alessandro Bonan

I giallorossi hanno perso la finale di Europa League nel momento in cui tutto si fa confuso, fra paura e dolore, capacità e fortuna. Ciò che resta sono gli sguardi: quelli di Bono e di Ibanez e, prima di loro, quelli di Grobbelaar e di Graziani

Ancora i rigori, che torneranno nei nostri incubi peggiori. Minuti di rara tensione, drammaturgia allo stato puro, con finale chiuso, spesso ingiusto come quello di molte storie, che siano raccontate al cinema o dentro le pagine di un libro. La Roma ha perso così, trascinata nel vortice di un momento dove tutto si fa confuso, sovrapponendo paura e dolore, capacità e fortuna, desiderio di vita e di morte. La via definitiva al successo o alla disgrazia, che passa da dettagli fatti di sguardi, movenze, parole.

 

Mentre Bono, il portiere del Siviglia, danzava sulla porta, zigzagando a destra e a sinistra, mi è venuta in mente la famosa scena di Bruce Grobbelaar nell’estate del 1984, quando la Roma perse la sua prima finale più importante. Il portiere sudafricano del Liverpool si portò tra i pali recitando la parte dell’impaurito, con le ginocchia tremule e la faccia buffa da clown, impegnandosi, con quel comportamento, a dissacrare l’attimo, renderlo ridicolo e ridimensionarlo a fatto del tutto incidentale, come una estemporanea pantomima tra amici. Davanti a lui, un giocatore stagionato e pieno di coraggio come Francesco Graziani, detto Ciccio. Quando tutto fu pronto, Ciccio guardò alla sua sinistra, in una specie di esortazione al fischio, che avrebbe anche potuto soltanto ascoltare. Ma Ciccio guardò l’arbitro, forse per non vedere quello che Grobbelaar stava combinando qualche metro davanti a lui. Una volta partita la sua rincorsa, il portiere si acquattò, piegandosi sulle ginocchia e diventando piccolo come un bambino. Andate a rivedervi quella scena perché la sua sequenza è davvero sorprendente. Graziani, in quei pochi istanti che lo separavano tra ciò che stava pensando e ciò che avrebbe fatto, decise di comportarsi nella maniera più logica di tutte, alzando il tiro sopra la testa del “bambino”. Ma, teso com’era, esagerò, scagliando il pallone ben oltre la traversa, tra le stelle.

 

Non so se Bono abbia condizionato i suoi avversari, così come fece Grobbelaar a suo tempo. Il povero Ibanez e Mancini prima di lui, non hanno tirato così male. Ma ciò che resta di un’altra notte maledetta, sono gli sguardi. Bono aveva la faccia di chi non aveva paura, gli altri sembravano coperti da maschere drammatiche. Se credi nel destino, credi in Dio, ha scritto qualcuno. Sapeva, il portiere del Siviglia, che avrebbe vinto o stava soltanto recitando? Non conoscendo Bono, potrebbe essere la prima oppure la seconda ipotesi. Ma ciò che resta sospesa è un’altra domanda, ancora più importante. Siete davvero sicuri che il calcio non sia la più credibile rappresentazione della nostra inesplicabile vita?

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