Remco Evenepoel sul traguardo della Liegi-Bastogne-Liegi (foto di Geert Vanden Wijngaert per Ap, via LaPresse)

ciclismo

Remco Evenepoel è reazionario

Giovanni Battistuzzi

In un ciclismo affollato di corridori che vorrebbero correre con qualunque tipologia di biciclette e su ogni superficie, il belga è ancora alla vecchia maniera. Ama l'asfalto, in gruppo non si fa vedere spessissimo e quando c'è detta la sua legge, quella della solitudine. Come alla Liegi-Bastogne-Liegi

In un ciclismo nel quale i migliori protagonisti sembrano non scorgere differenza tra l’asfalto e le pietre, gli sterrati e i boschi e il concetto di specializzazione sembra essere saltato; in un ciclismo dove la bicicletta è ritornata a essere un mezzo di spostamento universale nel quale conta solo pedalare e ciclocross, mountain bike e corse su strada sono diventate solo forme leggermente diverse di un’unica passione, la presenza di Remco Evenepoel appare come un errore storico, un avvenimento reazionario.

Remco Evenepoel ha compiuto da pochi mesi 23 anni. Quando ha iniziato a correre in bicicletta, nel 2017, Wout van Aert e Mathieu van der Poel già erano le due facce di una medaglia che appassionava, e parecchio, il Belgio del ciclocross, che per quantità di seguaci a quelle latitudini, sfida e a volte batte il calcio, e iniziava a diventare di dominio pubblico tra le strade fiamminghe, olandesi e dell’Europa tutta. Peter Sagan vinceva il suo terzo Mondiale di fila e iniziava a dire in giro che aveva nostalgia delle gare in moutain bike, mentre gli sterrati iniziavano a essere non solo un’apparizione primaverile toscana, ma quasi una necessità da inserire qua e là per fare i moderni.

Di tutto questo Remco Evenepoel sembra non essersene accorto. E se si è accorto, se ne è fregato amabilmente. Non faceva per lui. Non si sentiva come loro, non voleva essere come loro, gli bastava essere se stesso, uno per il quale la bici ha le ruote sottili e tanto basta, uno che non cerca l’olismo a pedali, ma la strada, l’asfalto, perché se l’asfalto è stato inventato un motivo ci doveva essere. Ed era senz’altro un buon motivo.

È un uomo di scuola antica Remco Evenepoel. Uno che non vuole conquistare tutto, che non ha in testa l’unione in un corpo solo delle tante anime della bicicletta. Tutto questo lo lascia a Tom Pidcock, che ha sempre detto che per lui l’importante è divertirsi e che si diverte di più a correre dove gli va e quando gli va, concedendosi il gusto di pedalare su tutti i tipi di bicicletta. Oppure a Mathieu van der Poel e Peter Sagan, che hanno detto che ci sono talmente tante gare belle che è un peccato pensare solo a quelle sulle biciclette da corsa.

A Remco Evenepoel l’asfalto piace, non chiede nulla di meglio, anche perché sull’asfalto vince e per Remco Evenepoel la miglior forma della bicicletta è quella vincente. “Pedalare non mi è mai pesato, allenarmi mi è sempre piaciuto perché so che prima o poi ci sarà una gara e le pedalate di oggi serviranno a quelle di domani”, ha detto all’alba della sua esperienza nel professionismo: era il 2019. Difficile possa aver cambiato idea.

Sono passati gli anni, gli avversari passano le stagioni a rincorrersi su qualsiasi superficie possibile, Tadej Pogacar ha pensato che non ci fosse nulla di meglio che unire Fiandre e Vallonia, Wout van Aert s’è preso il ghiribizzo di trattare vette montane e sprint di gruppo alla stessa maniera, ossia lui davanti e gli altri dietro, mentre Remco Evenepoel se ne frega di ciò che non gli garba, si fa vedere poco in gruppo e quando si fa vedere aspetta il momento migliore per allontanarsi da tutti e rimanere solo.

Remco Evenepoel è uno di quei corridori asociali per necessità. Ha bisogno della solitudine perché è nella solitudine che dà il suo meglio, anche perché non ha la seconda carta della velocità come van Aert o van der Poel. È scientifico per approccio alla gara. Si approccia al percorso con la conoscenza, si conosce, sa fino a dove può spingersi. E una volta entrato all’interno dei confini del suo limite, che è parecchio più vasto di quello di moltissimi suoi colleghi, fa quello che sa fare: aumentare il ritmo sino a quando questo è intollerabile per gli altri. Domenica alla Liegi-Bastogne-Liegi, lo ha rifatto ancora. Questa volta in modo ancor più evidente. È rimasto da solo per sfinimento altrui, l’ultimo a stare nella sua ruota è stato Tom Pidcock, in uno di quei posti, ce ne sono tanti, nei quali una corsa di solito non si decide, perché luoghi di passaggio tra altri nei quai invece è lecito attendersi la selezione decisiva. Non c’è nessun altro in gruppo a poter fare questo, anche Tadej Pogacar, colui il quale questa primavera ha dimostrato sulla strada di essere il più forte in circolazione, ha la necessità di una salita vera, o di un post salita – sia esso una discesa o un falsopiano – per sbarazzarsi della concorrenza. Remco Evenepoel invece basta a se stesso, è una sorta di diserbante per le ambizioni altrui, detta la sua legge e cerca di farla diventare indigesta agli altri. Ci riesce spesso.