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Il foglio sportivo

Il calcio italiano torna sulla cresta dell'onda (ma non è guarito)

Umberto Zapelloni

Sono cinque le semifinaliste italiane nelle tre coppe. E la Milano del pallone dimostra di essere più italiana che europea. Fa niente che i favoriti saranno gli avversari: una tra Milan e Inter è in finale di Champions

Nel bel mezzo della settimana del design, con la città invasa da bizzarri creativi, Milano si è ritrovata in finale di Champions. Sembra il disegno di uno di quei pubblicitari che si erano inventati la Milano da bere degli anni Ottanta. Milano capitale della moda e del design torna a essere capitale del calcio europeo, mentre sul nostro campionato soffia il vento del sud con il Napoli e le romane a guidare la classifica in attesa di capire come finiranno i processi alla Juve. È come tornare indietro di vent’anni in una macchina del tempo che viaggia controcorrente.

 

Il derby di Milano si traveste da semifinale di Champions come quando al comando c’erano ancora Berlusconi e Moratti e Maldini e Zanetti erano in campo. Quell’anno le italiane in semifinale erano addirittura tre e a Manchester ci ritrovammo con una finale tutta italiana. Era un altro calcio. La finale di Champions si giocava ancora a metà settimana (il 28 maggio 2003 era un mercoledì) fregandosene di ampliare l’audience e lo spettacolo attorno alla partita. Era anche un’altra Italia. San Siro non era ancora così vecchio e nessuno pensava di poterlo abbattere un giorno. I migliori giocatori del mondo non venivano in Serie A all’inizio o alla fine della carriera come succede oggi, ma nel bel mezzo dei loro anni migliori. La pioggia di denaro che ha cambiato per sempre il calcio non aveva ancora benedetto la Premier League e bastavano i Berlusconi, i Moratti e gli Agnelli (senza escamotage di bilancio) a reggere il gioco.

 

Ritrovarsi tre squadre italiane tra le prime quattro d’Europa non era poi così strano. È molto più strano adesso averne una in finale (e addirittura 5 nelle semifinali delle tre coppe, cosa mai vista) in un calcio dove ancora una volta abbiamo avuto la conferma che i soldi servono a comprare i campioni, ma non a farli diventare squadra. Milan e Inter insieme non guadagnano quanto il Paris Saint-Germain o il Bayern eppure sono qui a giocarsi il biglietto per Istanbul dove incontreranno uno tra Ancelotti e Guardiola. Comunque vada segnatevi questo: tre allenatori dei quattro semifinalisti sono italiani, anzi emiliani e il quarto, Guardiola, è cresciuto bevendo e mangiando calcio italiano nell’adorazione di Arrigo Sacchi, romagnolo d’esportazione.

 

Sapremo fare squadra come dicono in giro di noi italiani, ma in fin dei conti sappiamo anche comandare e insegnare. E adesso sarà difficile mettere in dubbio Pioli o Inzaghi. Avranno fatto i loro errori, stanno rischiando di restare fuori dalle prime quattro in Italia, ma sono lì tra le prime quattro d’Europa. Il nostro calcio non è guarito, per nulla, Milano non ha neppure idea su dove costruire lo stadio del futuro, ma in questo mese di maggio potremmo godercela davvero. In finale da una parte troveremo la squadra milanese di proprietà di un fondo americano o quella di un miliardario cinese che non può disporre in toto delle sue fortune. E dall’altra Manchester City o Real Madrid che rappresentano il nuovo che vorrebbe avanzare e il vecchio che non vuole proprio andarsene con le sue 14 Champions in bacheca (più di Milan, Inter e Juve messe insieme). Sarà una sfida impari, ma proprio per questo non sarà scontata. La storia della Champions è piena di sorprese. Anche Napoli e Benfica in fin dei conti partivano come favorite sulla sponda milanese del tabellone.