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Che devono fare Milan, Napoli e Inter per raggiungere le semifinali di Champions League

Giuseppe Pastore

I rossoneri dovranno provare a non snaturarsi, gli azzurri proveranno ad affidarsi al recupero di Osimhen. Per quel che riguarda la squadra di Inzaghi l'insidia è la pressione per un passaggio del turno che viene vissuto come scontato

L’Italia è a 90 minuti dal riportare una squadra in finale di Champions League, a sei anni dall’ultima volta (Juventus, Cardiff 2017). Fuori da Torino non capita dalla fatale Madrid 2010, anno di Gratia plena interista. A sud di Roma, semplicemente, non è mai accaduto. Se dall’altra parte del tabellone la possibile City-Real Madrid promette un gran clangore di sciabole e la sfida Haaland vs Benzema potrebbe trasformarsi in un confronto termo-nucleare, un altro derby italiano in semifinale sarebbe una seconda benedetta scarica di adrenalina sul nostro calcio sempre con la pressione bassa: e se il Real Madrid farà il suo dovere a Stamford Bridge, per la prima volta nella quasi ottantennale storia della Coppa dei Campioni avremo persino la possibilità di portare in semifinale tre tecnici italiani su quattro. 

Il Milan si augura che siano tre emiliani, ma anche la provincia di Firenze – culla del nostro centro federale, oltre che dell’intera lingua italiana – avrebbe il suo perché. Tra martedì e mercoledì si intrecceranno sogni, desideri, ambizioni, paure, tabù, ossessioni e speranze di ottanta giocatori, tre allenatori, tre società più o meno grandi e circa venti milioni di tifosi.

 

Cosa deve fare il Milan

Presso i milanisti c'è una corrente di pensiero, nemmeno così trascurabile, secondo cui quasi quasi è meglio difendere un 1-0 che un 2-0: il minimo vantaggio rende automatica una concentrazione che storicamente il Diavolo non sempre è stato in grado di mantenere (i casi scuola sono La Coruña 2004 e Istanbul 2005, ma non solo). Pioli dovrà ripartire dai cinque clean sheet consecutivi in Champions, indice di una ferrea tenuta mentale di cui in Serie A ci sono rade tracce, poggiandosi ovviamente su un piano gara congeniale alle sgasate del Beep Beep Rafa Leao e alle trovate sceniche di Brahim Diaz, decisamente il rossonero più a suo agio sui grandi palcoscenici: evidentemente, cinque anni di anticamera al Real Madrid e al Manchester City non sono trascorsi invano.

E poi – alle brutte – “better call Mike”: ormai Maignan ha una case history di parate decisive nei finali di gara che fa spavento. Come per esempio a Londra, dove il Milan difese benissimo l’1-0 di San Siro. Anche nell’ottica di eventuali supplementari resta il problema delle pochissime alternative all’undici titolare, come si è visto anche nei tremebondi venti minuti finali a San Siro. Nota a margine: il Milan non ha mai perso a Napoli nella gestione-Pioli, raccogliendo tre vittorie e un pareggio – tutti risultati che garantirebbero il ritorno in semifinale dopo 16 anni.

 

Cosa deve fare il Napoli

Il 2 aprile contro il Milan il Napoli ha giocato male e ha perso. Il 12 aprile contro il Milan il Napoli ha giocato bene e ha perso. In ogni caso, il miglior attacco della Serie A e della Champions League è rimasto a secco contro Calabria-Kjaer-Tomori-Hernandez. Messa così non sembra facile: il parziale di 5-0 sta un po’ scavando nelle sicurezze accumulate dalla banda-Spalletti in otto mesi di grande calcio. Cosa può inventarsi l’allenatore per risalire la corrente? Innanzitutto dimenticarsi le amarezze arbitrali dell’andata e sperare nell’unico elemento di discontinuità che gli è rimasto: il recupero di Osimhen, che comunque non potrà essere al 100 per cento della condizione nonostante i proclami di ottimismo (servono anche quelli). Confidare che un Victor pure a mezzo servizio ridia verve a Kvaratskhelia, micidiale partner in crime del nigeriano e anche per questo vero uomo in meno di gara-1 e gara-2.

Poi qualche piccolo accorgimento collaterale, come riporre in panchina Lozano e sguinzagliare Politano, che contro il Milan è spesso stato velenoso (più a San Siro che in casa, in verità); oppure lasciare a riposo Mario Rui, sempre emotivamente borderline, e preferirgli Olivera, che ha anche qualche cartuccia in più sulle palle alte. Ndombele e Juan Jesus in fase di contenimento saranno due incognite grosse così, ma chi è causa del suo mal pianga sé stesso. Tutt’altro che secondario il fattore ambientale: ma, posto che si tratta di questioni più aspre e delicate di una semplice faccenda di campo, dovrà pensarci la squadra a infuocare un Maradona vero assente ingiustificato di Napoli-Milan di due settimane fa.

 

Cosa deve fare l’Inter

 

I bravi opinionisti sono concordi: l'Inter non dovrà cullarsi sui due gol di margine ma scendere in campo con l’idea di dover vincere. Seh, buonanotte: il vantaggio da amministrare è un terreno troppo allettante e familiare per far cambiare pelle a Inzaghi, che del resto già a Porto aveva difeso benissimo, almeno fino al 91’, l’1-0 di San Siro. La rosa (che recupera Calhanoglu) ha comunque sufficiente pelo sullo stomaco per gestire, gestire e ancora gestire, nella miglior tradizione della ragioneria italiana. Le insidie saranno soprattutto psicologiche: il classico Benfica che “non avrà niente da perdere”, con meno pressione di quella che aveva martedì, potrebbe tuttavia essere in grado prima o poi di insinuarsi nell’iper-munita difesa a cinque interista, guidata da quell’Onana che nel 2022, da portiere dell'Ajax, ebbe sulla coscienza proprio un’eliminazione contro il Benfica.

Poi c’è la questione diffidati: quanti dei vari Dimarco, Bastoni, Dzeko e Lautaro verranno risparmiati da Inzaghi, da sempre ossessionato dalla minaccia gialla? Nell’ipotesi di un lungo count-down fino al 90esimo (da due mesi l’Inter fatica a chiudere le partite) San Siro dovrà aiutare la squadra a tenere la guardia altissima, con un ulteriore fattore di stimolo: la certezza di conoscere già il nome dell’eventuale avversaria in semifinale, con tutto il carico di ansie ulteriori soprattutto nel caso che la sfidante abitasse nella stessa città.

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