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Gran Calma #27

Se proprio va fatta una critica a Spalletti è quella della poca fantasia

Enrico Veronese

Il Napoli non ha grandi difetti, gioca bene e vince. L'allenatore però forse sta sprecando l'occasione di sperimentare un po' in una fase nella quale le inseguitrici continuano a fare il gioco di chi perde più punti. E intanto la Juventus si avvicina...

I risultati della 27esima giornata di Serie A

Sampdoria-Verona 3-1 24′, 35′ Gabbiadini, 88′ Faraoni (V), 98′ Zanoli
Fiorentina-Lecce 1-0 27′ aut. Gallo
Torino-Napoli 0-4 9′, 51′ Osimhen, 35′ Kvaratskhelia, 68′ Ndombele
Lazio-Roma 1-0 65′ Zaccagni
Inter-Juventus 0-1 23′ Kostić
Sassuolo-Spezia 1-0 71′ rig. D. Berardi
Atalanta-Empoli 2-1 44′ Ebuehi (E), 58′ de Roon, 86′ Højlund
Monza-Cremonese 1-1 61′ Ciofani (C), 69′ Carlos Augusto
Salernitana-Bologna 2-2 7′ Pirola, 11′ Ferguson (B), 64′ Dia, 73′ Lykogiannis (B)
Udinese-Milan 3-1 9′ Pereyra, 45′ +4 rig. Ibrahimović, 45′ +6 Beto, 70′ Ehizibue

La classifica della Serie A dopo 27 giornate

Napoli 71; Lazio 52; Inter 50; Milan 48; Roma 47; Atalanta 45; Juventus 41 (-15); Udinese 38; Fiorentina, Bologna e Torino 37; Sassuolo 36; Monza 34; Empoli 28; Lecce e Salernitana 27
Spezia 24; Verona 19; Sampdoria 15; Cremonese 13.

  

Perché il Napoli non gode un surplus di fantasia e non taglia la tela del quadro

Se perfino la tradizionale scaramanzia partenopea va giustamente al diavolo e già prospetta un doppio trionfo, nazionale (scontato) e continentale nelle bandiere preventive di nuovo conio, significa che ogni paradigma utilizzato fin qui per raccontare il Napoli 2022-2023 è da rivedere. L’ennesima prova di autorità a Torino - salva la parte centrale del primo tempo, nella quale i granata meritavano il pareggio - non si spiega solo con la forza di Victor Osimhen o la classe di Kvicha Kvaratskhelia. Ma in cotanta perfezione, urge scovare il pelo nell’uovo: il tecnico toscano, nel dominio, opera sempre gli stessi cambi. E tutti testuali, scevri da varianti tattiche apprezzabili: Hirving Lozano per Matteo Politano e viceversa -con tutte le loro differenze- poi Juan Jesus per Kim Min-jae. Solo Eljif Elmas è jolly tra interno e ala. Mai un guizzo, uno sfregio di Pollock. Di qui l’appello: Luciano, cambia qualcosa, divèrtiti tu stesso e facci divertire! Lancia Gianluca Gaetano titolare un giorno, dài una soddisfazione a Bartosz Bereszyński, trova un posto per Tanguy Ndombele che ti ripaga, sii generoso con Leo Østigård… Prova a difendere a tre, in maniera più chiara di quanto già succede. Anzi, sfida Pep Guardiola col nuovo WM, porta i terzini a costruire davanti la difesa: puoi permetterti tutto. Lo farai a scudetto vinto? Gran calma...

   

Perché il Milan sta già pensando ai quarti di finale della Champions, e perché non dovrebbe

Da quando sono usciti i sorteggi per le coppe europee, non c’è milanista che non aspetti la data di mercoledì 12 aprile per accampare irrazionali velleità di rivincita nei confronti dei padroni della Serie A. Eppure, da quel che si è visto sabato sera a Udine, l’adrenalina dovrebbe lasciar spazio alla volontà di procrastinare il più possibile quel momento: con questi chiari di luna, si interroga la tifoseria, come sarà possibile affrontare il Napoli muniti solo del glorioso dna europeo? Prendere lo svagato Rafael Leão, palesemente tra le nuvole e in cerca di una posizione, casinista e mai squilibrante: che differenza, per una sera, con quel Success Isaac che dribbla da fermo come in un campionato caraibico danzante. Chi è il rigorista del Milan? E perché non Bennacer? I milanisti guardano Beto e lo vogliono al centro dell’attacco, quando fatica a tenere i propri livelli per metà stagione. Tutto perso? No, gran calma: anche alla Dacia Arena, ogni tanto, un raggio di sole. Brahim Diaz, quando vuole, fa quello che vuole. Ovvero cercare di andare in porta con il pallone. Un po’ poco, ma se il folletto ispano-marocchino trova la chiave per sgusciare nella difesa e far ammattire/ammonire i suoi interpreti, poi Stefano Pioli potrebbe chiudere a doppia mandata e far brillare il famoso dna.
  

Perché l’Udinese in bilico nel futuro non è mai stata così efficace, quest’anno

Naturalmente se il Milan è stato ridotto ai minimi termini, al di là dei propri errori il merito va soprattutto all’Udinese, mai così brillante quest’anno per chi l’ha vista giocare più di una volta. La squadra di Andrea Sottil cresce assieme tutta in una partita, overperformando tanto da tendere al torello contro i campioni d’Italia: che non fosse sempre la solita ce ne si era accorti all’apparizione delle maglie di gioco, lucide, intense, ipertecnologiche, mutanti. Il futuro, bello come i 120 anni della Cremonese celebrati da una divisa senza nomi né sponsor: altro che le labbra rosse sopra la tenuta del Napoli, o l’esultanza vintage dei cagnetti di Bari, riprodotta nel merchandising dalla medesima proprietà. A nordest esplode Kingsley Ehizibue, il dottor Tolgay Arslan entra da proto specializzato, operaio che sa di essere geometra. E poi Walace Souza Silva, che da fermo nasconde la palla: tutto perfetto, giusto magnificare. Non fosse che i due terzi di stagione sono già andati, e - con i ritmi forsennati del mercato-andirivieni di Giampaolo Pozzo tra il Friuli e Watford - gran calma che il prossimo anno le zebrette possano ripartire da qui. Quando invece costruire dalle fondamenta è sempre più necessario che smantellare.

   

Perché “quelli che ci sono” vanno sommati algebricamente ai desaparecidos

Walace, si diceva. Da quattro anni, lassù, la formazione (e sicuramente il mercato) inizia a partire da lui. Non si distingue nei lanci, non crea assist, spesso è pure ammonito: eppure imprescindibile semaforo davanti alla difesa, merce rara se anche il Flamengo - già campione del mondo - ci ha seriamente pensato. Fa il paio con Danilo D’Ambrosio, che in queste settimane sta rivedendo il campo sia da “braccetto” che da esterno: sono coloro che ci sono, per una stagione intera, anche quando non li si vede, anche quando in campo non li si sente. Nello spazio Walace, nel tempo D’Ambrosio. Ma se è vero che anche Romelu Lukaku, contro la Juve, c’è sempre (al largo dall’area), che dire di coloro che sono arrivati tra squilli di tromba la scorsa estate, e presto giubilati: il primo che viene in mente è Marcos Antonio, che non è riuscito a prendere le redini della Lazio, ottimamente condotta in campo da Matías Vecino o Danilo Cataldi. Ma anche Caleb Okoli, presto sparito dalle rotazioni nell’Atalanta, Kevin Bonifazi che a Bologna non gioca manco quando mancano tutti, o il compagno di squadra Lorenzo De Silvestri e il capitano della Nazionale, Leonardo Bonucci, ridotto a dare indicazioni dalla panchina. Per tutti gli atleti messi ai margini dell’agonismo, progettare il proprio riscatto non è impresa ardua: alcuni si riscatteranno qui o altrove, gran calma anche per i neopromossi che partivano con l’ambizione di mantenere la titolarità e che invece hanno gettato (non sempre per loro colpa) quasi un’intera stagione.

 

Perché il colpo di testa all’indietro era lost in translation e piace rivederlo tra le fiamme

Il weekend si è concluso con brutte immagini dai terreni di gioco. Risse con espulsi a Roma, Sergej Milinković-Savić che esulta come dopo un gol per aver fatto cacciare un avversario; nervosismo e irrisione a San Siro, a dare il cattivo esempio. Si fa presto a dire "è ciò che non si vorrebbe vedere", ma quando per un anno o per una settimana la tensione viene montata, poi il piano è inclinato e ne fanno le spese tutti. Piange Milano, Milano metafora dell’amore, perfino Padova uccide di più: se la Juve è virtualmente seconda giocando così, il livello del torneo si commenta da sé. Eppure gran calma, nelle more di Torino-Napoli la rivelazione che svolta il pomeriggio e riporta il calcio giocato alla sua dimensione possibile, primordiale: un colpo di testa all’indietro, in piena area di rigore, antilogico e beffardo si stava per insaccare alle spalle del portiere, che repentinamente ha recuperato posizione e credulità. Se ne vedono ormai pochissimi, in area avversaria, e quasi sempre a coronamento di “campanili”: quando succede, però, il fatto porta a sospendere lo sguardo nell’aria per uno, due, tre secondi nei quali tutto è destinato ad accadere, o a non accadere mai. Più colpi di testa all’indietro, grazie.

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