Foto Ap, via LaPresse

Il rugby in Galles è in profonda crisi economica

Alessandro Ferri

Le franchigie gallesi che giocano nella United Rugby Championship saranno costrette ad abbassare il tetto salariale. Gli stipendi medi per i professionisti sono già di poco più bassi della media degli stipendi del Regno Unito. Così i migliori saranno costretti ad andare all'estero, ma se espatriano non potranno giocare in Nazionale

C’era una volta il Galles. Il Galles che nel 1905 fu l’unica nazionale a battere la Nuova Zelanda, che venne in Europa per un tour in Gran Bretagna. Il Galles del grande slam, il Galles nobile padre del rugby d’élite. Oggi, tutto questo non c’è più.

 

La crisi del movimento gallese ha radici profonde, ma è esplosa con la pandemia. In quel momento, la Welsh Rugby Union chiese e ottenne dal governo un prestito di 20 milioni di euro per mandare avanti le quattro franchigie che disputano il campionato europeo, lo stesso United Rugby Championship in cui giocano Zebre e Benetton Treviso. Quei soldi furono girati in egual misura, 5 milioni ciascuno, a Scarlets, Ospreys, Cardiff Blues e Newport Dragons, a patto che i club si impegnassero a restituire la cifra in vent’anni con il 10 per cento di interessi.

 

Ora però, la situazione è ingarbugliata, perché quello che era un problema amministrativo, ha iniziato a riguardare i giocatori. Le franchigie, infatti, per far fronte al debito contratto con WRU e con il governo gallese, dovranno mettere pesantemente mano ai contratti, introducendo un tetto salariale enormemente più basso della cifra che tanti atleti guadagnano ora. Mentre si definiscono numeri e limiti, i rinnovi dei contratti in scadenza sono rimasti tutti in standby.

  

Senza prospettive di futuro, tanti rugbisti, anche nel giro della Nazionale, sono caduti nello sconforto totale: secondo ciò che si dice sulla stampa britannica, ci sono giocatori che sono sotto cura antidepressiva perché non hanno le garanzie adatte per accendere un mutuo per coprire le spese per gli studi dei figli, altri che stanno pensando di smettere di giocare e di trovare un lavoro fuori dal rugby, altri che sono tornati a vivere con i genitori perché non possono permettersi di far fronte alle spese per una casa.

  

Il mondo patinato del rugby di alto livello, che quest’anno viene anche seguito da Netflix e che aumenta di mese in mese gli investitori, non riesce a sostenere una delle realtà più importanti a livello globale, in una spirale assurda, cui è difficile far fronte.

 

Parlando di numeri: un giocatore gallese di livello internazionale guadagna in media tra le 300 e le 400 mila sterline all’anno. Con il nuovo tetto salariale, il massimo scenderebbe a 270 mila, con la fascia più bassa compresa tra 30 e 100 mila sterline annue.

  

Ora, mettetevi nei panni di un giovane giocatore di belle speranze, che viene pagato 2.500 sterline al mese per fare la vita di uno sportivo professionista. Una cifra poco più bassa della media degli stipendi del Regno Unito. Impensabile, specie se solo due anni fa le prospettive erano quelle opposte e magari si era iniziato a pianificare di fare delle spese decisamente diverse dalle reali possibilità attuali. Facile pensare di poter andare a giocare all’estero, specie in Francia, dove soldi ne girano, tanti. Eppure non è così immediato. Sì, perché il regolamento della federazione del Dragone vieta la convocazione in Nazionale per i giocatori con meno di 60 presenze pregresse che giochino all’estero. Andare a giocare fuori, con la garanzia di un salario adeguato all’impegno, vorrebbe dire per tanti niente Sei Nazioni, niente Coppa del Mondo, niente vetrina internazionale. Non è così facile scegliere.

   

Tutti questi motivi stanno spingendo i giocatori di coach Warren Gatland a meditare un clamoroso sciopero per la prossima partita, quella più sentita, quella in cui al Principality Stadium di Cardiff ospiteranno l’Inghilterra. Sarebbe un’incredibile prima assoluta nella storia della competizione, ma anche la definitiva apertura di uno squarcio sul disastro economico e sociale che investe la nazionale che solo due anni fa vinceva il Sei Nazioni con una giornata d’anticipo, andando a un passo dal Grande Slam.

  

Le difficoltà in campo sono ovviamente il riflesso di ciò che succede fuori. La Nazionale è allo sbando, la meta di Padovani che ha riportato l’Italia alla vittoria dopo sette anni è stata solo l’inizio di una serie di sconfitte: undici nelle ultime quattordici partite, compresa quella pesantissima in casa con la Georgia. Per far rientrare lo sciopero, è stato assicurato che il principe di Galles, William, sarà assieme a sua moglie Kate allo stadio per la partita con l’Inghilterra. La domanda però è: ci sarà anche la nazionale gallese?

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