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Il Foglio sportivo

Così si scoprivano i campioni. Dove sono andati gli osservatori di una volta

Alberto Facchinetti

Storie, trucchi e segreti: giravano per oratori e campetti a scoprire i futuri calciatori. Li si trovava seduti in tribuna: guardavano, ragionavano e analizzavano in prospettiva. Oggi si fa tutto online. Come cambia un mestiere

Al mattino Vittorio Scantamburlo faceva il bidello in una scuola elementare, nel pomeriggio e nei weekend con la sua Fiat 126 bianca girava i campi del Veneto alla ricerca di giovani calciatori per il Calcio Padova. Nel novembre del 1987 a San Vendemiano, provincia di Treviso, rimane abbagliato da una giocata del tredicenne Alessandro. Sulla sua agenda rossa, di quelle che le banche danno a fine anno ai correntisti, all’interno delle quale si scrive sempre le formazioni delle due squadre in campo, aggiunge a penna tre ics accanto al nome del numero nove Del Piero. Per i criteri di Scantamburlo è il massimo dei voti, oltre non si può andare.

 

In spogliatoio scambia due parole con Alessandro, capisce che è un ragazzo perbene e chiama il direttore sportivo Pastorello. 

Scantamburlo è stato per anni allenatore delle giovanili del Padova, poi ha deciso di fare esclusivamente l’osservatore - era così che si definiva, mai talent scout. Nella sua carriera ha scoperto circa 70 giovani calciatori diventati professionisti. Oltre a Del Piero, sul suo taccuino sono finiti anche i ragazzini Pippo Maniero, Carlo Perrone, Andrea Seno, Ivone De Franceschi, Pasquale Foggia, Daniele Gastaldello, Luca Rossettini.

Nel viaggio di ritorno da San Vendemiano quel giorno non riusciva a non trattenere l’entusiasmo di una scoperta: “Vuoi vedere Vittorio che hai trovato un giocatore con la G maiuscola?”. Ovviamente in dialetto padovano perché questo era il suo linguaggio, magari anche aiutandosi con espressioni colorite che poi in società i dirigenti dovevano trasformare in un giudizio. Ma aveva qualità rare nell’individuare il talento.  

Gaetano stava palleggiando sul muretto di via XXV aprile a Cinisello Balsano, dove la famiglia si era trasferita da Cernusco sul Naviglio qualche anno prima. Il ragazzo mangiava un panino mentre giocava con una naturalezza e una coordinazione che un occhio attento come quello di Gianni Crimella non poteva lasciarsi sfuggire. Crimella di lavoro faceva il rappresentante, abitava nella stessa via degli Scirea e nel tempo libero allenava la squadretta della parrocchia Pio X a Cinisello. La Serenissima dai primi anni Sessanta era iscritta al campionato giovanile Csi a 7. Gaetano Scirea entra in squadra, giocando da centrocampista con la sua classe pura. A 14 anni Crimella riuscirà a portarlo all’Atalanta. Anni dopo lo stesso Crimella sarebbe diventato osservatore del Milan.

“A bordo di un motorino Garelli Antonio Crippa si spostava di oratorio in oratorio per vedere giocare i ragazzini. Poi chiedeva al prete l’indirizzo dei più bravi e me lo ritrovai in casa a parlare con i miei genitori per portarmi al Cusano Milanino – racconta al Foglio Sportivo Fulvio Collovati - viaggiava in compagnia del suo socio, che tutti chiamavano Altafini perché assomigliava al grande José. Crippa fu lo scopritore anche di Oriali, Pierino Prati e Maldera. Oggi non ci sono più né gli oratori né chi ha voglia di fare chilometri a scovare talenti”. Crippa era un dipendente della Gerli, ditta tessile di Cusano. Era sempre alla ricerca di talenti per la sua squadra, spesso portava con sé una macchina fotografica qualora servisse per bloccare qualcosa nella sua memoria.

Sempre in Lombardia agiva in quegli anni Fermo - per tutti Mino - Favini. Per un ventennio, prima di passare all’Atalanta nel 1991, lavora per il Como. Favini andava a vedere i giocatori di altre squadre, anche quattro partite in un weekend. Una volta rincasato, sul foglio con le formazioni agiva con un pennarello rosso e uno verde. Il verde era destinato ai giocatori che gli erano piaciuti di più, per alcuni utilizzava entrambi i colori perché evidentemente ne era stato colpito il giusto, ma con qualche riserva. Al massimo si appuntava qualche nota: “solo mancino”, “solo destro”, “due piedi”, “buon senso della posizione”.

Nelle sue carte, che il figlio Stefano ha consegnato ai dirigenti del Meda, si possono trovare i nomi di alcune sue scoperte, anche di calciatori visti e apprezzati ma non presi come Beppe Bergomi e Alessandro Costacurta. Non ha mai usato il computer, nonostante a casa ne avesse uno. Era molto affezionato a Stefano Borgonovo, per cui lottò con la sua squadra di provenienza, il Seregno, per portarlo al Como quando sembrava già destinato al Milan. Era stato colpito da Luca Fusi per la sua straordinaria intelligenza calcistica, a 13 anni sembrava uno di 30. Favini è sempre rimasto legato anche a Gianfranco Matteoli.

Giacinto Ellena, una vita con il Toro anche da giocatore e allenatore, è stato per molti anni capo degli osservatori granata. Dava lui l’ultimo ok sul calciatore andando a visionarlo direttamente sul campo. La squadra di osservatori del Torino partiva con una macchina unica, spesso verso il Veneto o la Toscana. Ognuno si fermava su un campo diverso, poi al ritorno quello alla guida passava a prendere tutti i colleghi nei vari paesi. La società riconosceva il rimborso per la benzina e per un frugale pranzo. 

Fu Ellena nel 1972 a far prendere al presidente Pianelli Francesco Graziani, diciannovenne attaccante dell’Arezzo. Credeva così tanto nel giocatore che minacciò di licenziarsi pur di averlo al Toro. Qualche anno prima aveva notato un diciassettenne Paolo Pulici su segnalazione di Colombi, suo ex compagno nel Legnano, durante un raduno della Nazionale Juniores a Coverciano.

Carlo Jacomuzzi, osservatore internazionale per Juventus, Roma, Parma, Fiorentina, Genoa, Chelsea ed Everton, è il presidente dell’Associazione Italiana Osservatori calcistici. Racconta al Foglio Sportivo: “Una volta i direttori sportivi davano importanza a quello che diceva chi alle 7,30 di una mattina d’inverno era già nei campetti dove nascono i giocatori. Ora l’osservatore va a vedere e non serve più a nulla! Eppure i ragazzi vanno ancora cercati qui in Italia. L’osservatore bravo è quello che trovi in tribuna con le mani e i piedi ghiacciati. Considero il mio maestro Gigi Casiraghi, l’uomo che ha fatto grande l’Inter. Io uso un bloc notes e una biro, scrivo solo qualche appunto. Talvolta faccio dei disegnini. Lui raramente l’ho visto scrivere, aveva tutto qui nella testa, al massimo si appuntava qualcosa dietro al foglio con le formazioni. La caratteristica principale di Casiraghi era l’umiltà, non l’ho mai sentito dire: questo l’ho scoperto io prima di tutti gli altri. Lo si trovava seduta in tribuna: guardava, ragionava e analizzava in prospettiva”.

Jacomuzzi e Casiraghi facevano per club diversi un mese intero in Sudamerica a caccia di giovani talenti. “Quando non c’era internet, quanti contatti e amicizie nei vari stadi per recuperare le formazioni…”.

Scantamburlo, Crippa, Favini, Ellena e Casiraghi sono scomparsi. Con loro se ne è andata tutta una generazione di vecchi osservatori che ha scoperto campioncini andando sul campo senza usufruire di software moderni, applicazioni da scaricare sul tablet e monitor con le partite di tutto il mondo messi tutti in fila in un’unica sala. Quelli di oggi probabilmente non hanno vita più semplice dei loro predecessori, però almeno lavorano senza troppi sbalzi termici.  

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