Il Foglio sportivo - storie di storie

Mondiali controversi

Mauro Berruto

Non solo la Coppa del mondo in Argentina davanti al sanguinario generale Videla. In Italia e Francia si disputarono le edizioni del 1934 e 1938, quelle dal tentativo di piegare il calcio alle leggi della propaganda. Due libri

Siamo al termine di uno dei Mondiali più controversi della storia e, al momento di scrivere, non sappiamo se sarà l’Argentina di Messi o la Francia di Mbappé a sollevare la Coppa più desiderata. In ogni caso italiani, argentini e francesi hanno molto a che fare con le altre edizioni più discutibili della storia della Coppa del mondo. In Argentina si disputarono i Mondiali del 1978, quelli del sanguinario generale Videla, mentre in Italia e Francia si disputarono le edizioni del 1934 e 1938, quelle dal tentativo di piegare il calcio alle leggi della propaganda.

 

Scelgo due libri che raccontano fatti e personaggi di quelle edizioni di quasi nove decenni fa. Il primo è un saggio di Giovanni Mari, Mondiali senza gloria (People, 2022). Se il titolo chiarisce, il sottotitolo (La vittoria del 1934, comprata da Mussolini, e quella fascistissima del 1938) e la prima citazione, rilasciata nel 2013 da Jérôme Valcke, segretario generale della Fifa, eliminano ogni dubbio: “A volte, con meno democrazia, è più facile organizzare una Coppa del mondo.” Mari pone una domanda: “Possiamo essere fieri dei successi del 1934 e del 1938?”, e risponde ricordando che la macchina del consenso che la politica non ha mai smesso di costruire al fianco del pallone “sfrutta la passione, l’orgoglio, la cecità, il trasporto, la frustrazione, la povertà, la solitudine e le metarealtà che la competizione innesca in ogni persona. Qui, in questi interstizi tra l’intelletto e la foga di ciascuno di noi, ha proliferato la più pericolosa delle tecniche di propaganda".

 

Mari dedica un capitolo a un passaggio intermedio, quello dei Giochi Olimpici di Berlino 1936, non tanto “voluti” da Adolf Hitler, assegnati nel 1931, quando il Führer era ancora lontano dal potere, ma poi utilizzati a fini propagandistici dal dittatore, anche sulla scorta di quanto successo in Italia nel 1934. La Germania nazista mancò il podio in soli tre sport di squadra: calcio (anche in quel caso vinse l’Italia), pallacanestro e polo. La conclusione di Mari è che, se non ci sono dubbi sulle meravigliose vittorie del 1982 e del 2006, per i successi degli anni Trenta serve un profondo esame di coscienza collettivo: “Se confessassimo a noi stessi e lavorassimo sul nostro essere stati fascisti, complici silenti di un regime sanguinario, liberticida, oppressivo e assassino, potremmo persino ricordare con tenerezza le imprese di Meazza e Piola. Provando meno vergogna, pur senza dimenticarla. E finalmente concederci un consolatorio, appassionato e consapevole, forza Italia”.

 

Che dire allora del più grande protagonista di quei tre successi sportivi, Vittorio Pozzo? Dario Ronzulli, Vittorio Pozzo. Il padre del calcio italiano (Minerva, 2022) ricorda che per ogni grande storia serve, prima di tutto, costruire il mondo narrativo. Pozzo sarà autore, regista, sceneggiatore, protagonista di quel mondo narrativo. Al centro c’è un amore sconfinato per il calcio, ma Pozzo sa che per arrivare al successo serve creare un ecosistema, così la figura del ct Pozzo non può prescindere da quella del giornalista (epico un suo pezzo per “La Stampa” che racconta l’istante in cui i suoi azzurri trionfarono a Parigi nel 1938), dell’Alpino, dello psicologo che sa creare legami solidissimi fra i suoi calciatori. Una figura talmente forte e carismatica da far diventare quella Nazionale più “di Vittorio Pozzo” che “del fascismo”. Questo libro, che si legge come il romanzo di un eroe omerico, si apre e si chiude con delle lacrime. Quelle inarrestabili nel momento del riconoscimento delle vittime della tragedia dell’aeroplano del Grande Torino (dove avrebbe potuto, anzi dovuto, esserci anche lui) quando Pozzo non si sottrasse al dovere di riconoscere i corpi straziati dei suoi giocatori e le lacrime di un Pozzo concorrente al quiz televisivo “Fiera dei Sogni” di Mike Bongiorno. Occhi di anziano, lucidi perché non ricorda i nomi di due giocatori della Nazionale sconfitta a Berlino nel 1939. Si sforza, non gli vengono in mente, soffre. Non vince il premio in palio e piange per quei milioni persi. Piange, non per sé, ma perché avrebbero aiutato un suo ex giocatore in grande difficoltà, Bruno Chizzo, che a causa di alcuni investimenti sbagliati era in grande difficoltà economiche.