Dialoghi mondiali /23

Scoperte mondiali e campioni che non sanno come ritirarsi

Fulvio Paglialunga e Giuseppe Pastore

Dal gran calcio del Marocco all'eleganza di Modric fino ai dolori del non più giovane Cristiano Ronaldo. E martedì si ritorna a giocare

“Dialoghi mondiali” accompagnerà ogni giorno di Qatar 2022. Un dialogo quotidiano tra il calcio e il faceto tra Fulvio Paglialunga e Giuseppe Pastore sui temi di giornata, o forse no, dei primi Mondiali invernali della storia.

  


 

Fulvio - Parto subito forte: prima del Mondiale avevo indicato la Croazia come squadra per cui tifare, puntando anche sul mio inseguire le delusioni cocenti ogni volta che scelgo una squadra (compresa quella che ho scelto da piccolo) e infatti la Croazia è ancora in corsa. E ti dirò: meglio di come immaginavo. Siamo a tanto così dalle semifinali di un Mondiale che non ci ha mollato un secondo, nemmeno la possibilità di dire "ok, oggi è stata una giornata normale". Torniamo alla Croazia, dai. Voglio parlare di loro.

Giuseppe - Parliamo della Croazia volentieri, intanto per una piccola controtendenza: in un Mondiale in cui appena 16 giocatori su 104 semifinalisti giocano nel proprio campionato, le ultime due facce da copertina della Croazia sono il portiere Livakovic e l'attaccante Petkovic, che giocano nella Dinamo Zagabria recentemente maltrattata dal Milan in Champions. Un esempio di come i buoni calciatori si trovino ancora dappertutto, anche se un Mondiale è spesso una grande illusione. Oltre ad aver condiviso l'ultima finale con la Francia, hanno anche un'altra cosa in comune con i campioni in carica: i due ct non si danno arie da inventori del calcio, hanno un senso pratico necessario per allenare la Nazionale, sono consapevoli di avere un gruppo di campioni, tengono il basso profilo d'ordinanza e non cercano mai di rubare loro la scena (ogni riferimento a Luis Enrique, ma in fondo anche a Roberto Mancini, non è puramente casuale).

Fulvio - Poi la Croazia ha Modric, che è una delle cose più belle che sia capitata al calcio negli ultimi anni. Un giocatore bellissimo, uno che gioca in giacca e cravatta, un leader silenzioso. E poi c'è una questione personale: nel 2018 il mio figlio più grande si è innamorato del calcio in un Mondiale senza Nazionale perché vedeva lui e ne ha capito la bellezza. Te l'ho detto qualche giorno fa: in questo Mondiale in cui il passo d'addio per molti è una tortura che ne sporca l'immagine degli anni precedenti (poi tornerà: i campioni rimangono campioni anche se scelgono male modi e tempi del congedo) lui sta dimostrandosi ancora una volta perfetto. Nel quarto di finale non ha fatto nessun calcolo: ha rischiato l'ammonizione anche se gli sarebbe costata la semifinale eventuale, ha rilanciato la squadra quando sembrava finita, ha tirato il rigore quando serviva tirarlo, non aspettando con presunzione l'ultimo per passare da eroe (chissà se Neymar ha capito). Io nella mia squadra ideale vorrei solo giocatori come Modric. Scusa, mi sto esaltando troppo.

Giuseppe - Mi aggancio a un tema che sta riempiendo da settimane le pagine dei giornali non solo sportivi: la fine di Cristiano Ronaldo. La fine sportiva, senza dubbio, visto che i 40 minuti contro il Marocco sono il capolinea. Ma anche la fine umana? La testardaggine con cui Cristiano Ronaldo continua a porsi come il migliore del mondo al di là di ogni ragionevole dubbio non nasconde anche una grande paura verso il futuro, quell'"e adesso cosa faccio?" che tormenta l'anima di tantissimi atleti? Non riesco più a capire cosa pensi davvero Ronaldo, forse non ci sono mai riuscito: non sono nemmeno sicuro che quelle lacrime di ieri siano autentiche o finte, da troppo tempo tutto ciò che gira intorno a questo calciatore mi sembra artificioso e artificiale. Anche questo modo di dire e non dire, di non rilasciare dichiarazioni ma di far parlare a mezzo social la sua corte, la moglie, la sorella... comportamento un po' vigliacco, e un po' volgare, che nasconde enormi fragilità psicologiche che il denaro cura fino a un certo punto. Tu come la pensi?

Fulvio - Se guardiamo in casa nostra una cosa del genere l'abbiamo già vissuta: l'entourage che parla e accusa e il giocatore che non si rassegna al tramonto e finge di stare zitto. A me dispiace quando un campione fa così e, come dici, non riesci nemmeno più a capire se le emozioni sono vere, finte, una via di mezzo. Ce ne sono stati tanti che hanno scelto bene tempi e modi, ma io ne ho uno in testa, da anni, ed è Alessandro Del Piero. Ecco, suggerirei un'attività nuova extracalcistica a Del Piero: consulenza per giocatori che non sanno come ritirarsi. Quell'eleganza, quasi ritrosia alla celebrazione mentre gli chiedevano di fare il giro dello stadio per salutare i suoi tifosi, dopo una stagione passata quasi da seconda linea senza sollevare nessuna polemica. Vabbè, andiamo avanti e parliamo ancora di cosa bellissime: il Marocco, ad esempio...

Giuseppe - Viva il Marocco! L'altro ieri mi sono fatto un giro lungo viale Aretusa e piazzale Selinunte, tra i luoghi di Milano a più alta concentrazione maghrebina, e la sensazione è che oltre ai marocchini ci fossero anche tanti egiziani, o musulmani generici, felici di questo risultato storico per la loro cultura. E poi in fondo è come quando abbiamo vinto nel 2006 e in Germania era pieno di italiani festanti, è come quella scena di Nino Manfredi nel bar in "Pane e cioccolata": se sei lontano, il richiamo delle origini è molto più forte. Voglio sottolineare che non c'è niente di fiabesco o favolistico nell'impresa del Marocco: è una squadra che gioca un grande calcio, sfrutta al 150 per cento le armi che ha, ha un meccanismo di attese e ripartenze diabolico per come non abbiano mai sbagliato un movimento nelle quattro partite disputate contro le squadre europee, surclassando centrocampi pieni di gente come Modric, De Bruyne, Pedri, Bruno Fernandes. Nel loro aspettare e mordere hanno qualcosina anche dell'Italia 1982, che quando riusciva a ripartire sciorinava di colpo tutta la qualità di cui erano capaci Conti e Antognoni.

Fulvio - É uno di quei casi, nel calcio, in cui la squadra è così ben organizzata da far dire tranquillamente che il valore del collettivo è di molto superiore alla somma del valore dei singoli. Se pensi che hanno chiuso la partita contro il Portogallo con davanti un calciatore che in Italia gioca in B e che peraltro sembra l'unico che sarà in grado di deprezzarsi dopo un Mondiale in cui la sua Nazionale è la grande sorpresa, allora capisce che la dimensione di quello che stanno facendo è ancora più grande di quanto stiamo dicendo noi due. Aggiungo, poi, che ho parecchio criticato il sistema di reclutamento del Qatar, fatto di accademie e scouting, perché era artificioso e costruito sull'idea che tutto si possa comprare. Ma anche il Marocco arriva a questo livello grazie a investimenti mirati. Che però hanno un altro spirito: intanto investono i soldi che la Fifa dà alle federazioni proprio per lo sviluppo del calcio, e poi non ha inventato dei nazionali, ma ha richiamato i figli della diaspora. Quattordici dei ventisei giocatori in Qatar sono nati all'estero, ma perché figli di emigrati. Li hanno richiamati puntando sull'appartenenza e anche sulla serietà, non sul benessere che i petroldollari qatarioti avrebbe garantito. Infatti dei tre loro simboli, Amrabat (che sta giocando per tre) e Ziyech avevano iniziato la trafila nell'Under 21 olandese e Hakimi ha detto "no" alla Spagna. E, se posso aggiungere, in campo si vede che fanno parte di un progetto condiviso.

Giuseppe - A proposito di diaspore: la diaspora calcistica dell'Argentina - che ha un solo giocatore su 26 militante nel proprio campionato - ha reso più coesa e compatta una squadra stretta intorno a Messi, ed è del tutto superfluo qualunque confronto con la solitudine di Ronaldo che fila via in disparte al fischio finale di Marocco-Portogallo. Il rendimento dell'Albiceleste, che in tre anni ha perso una sola partita contro l'Arabia Saudita, è abbastanza esemplificativo di come il Mondiale funzioni spesso al contrario: gli squadroni degli anni 2000 non mostravano un grammo dell'unità d'intenti esibita dalla Scaloneta anche contro l'Olanda, al netto della modestia tecnica di molti giocatori e del clamoroso sbandamento finale. Non si sono sciolti, si sono ricompattati e sono stati perfetti al momento dei rigori, a cominciare da Lautaro Martinez che aveva fin lì vissuto un Mondiale sportivamente drammatico. Se la Francia ci mostra il piacere di giocare a calcio bene, con bellissimi gesti tecnici sia individuali che di squadra, le altre tre semifinaliste ci ricordano l'importanza dei valori mentali e morali necessari a ogni gruppo di lavoro di successo.

Fulvio - E Messi, appunto, ci fa fare il giro e portare alla capacità di scegliere come dare il passo d'addio. Lui non ha nemmeno lasciato sospesa la questione: ha detto subito che questo è il suo ultimo Mondiale. E ha deciso di vincerlo, costi quel che costi. Questa frase ha un senso perché lui sta giocando in modo perfetto, ma si vede che sa scegliere il momento di fare un passo indietro. Non sta cercando di giocare per uscire con le luci della ribalta, ma vuole uscire con l'Argentina campione. È quasi un leader nuovo, perché abbiamo un'immagine di Messi come calciatore freddo, concentrato sul campo e poco più; invece sta facendo proprio il trascinatore anche morale. Nella gazzarra moralista del dopo Argentina-Olanda, io invece ho visto un capopopolo, che ha replicato a Van Gaal, fatto giustizia di Riquelme, che ha mostrato il suo volto cattivo. l'animo rosarino, per caricare i compagni. Decidere, proprio quando devi salutare la grande platea mondiale, che è più importante un rigore di Lautaro che il proprio fabbisogno personale, è da campioni maturi. E in questo momento l'Argentina è Messi, proprio perché lui ha rifiutato, a gesti, questa identificazione. Viva lui, ma se sei d'accordo torniamo alla Francia, che ora vedo come favorita...

Giuseppe - Per forza: giocano il calcio migliore, più bello, più vario, più imprevedibile. Francia-Inghilterra è stato un piccolo compendio: gli inglesi erano giustamente terrorizzati da Mbappé e l'hanno annullato splendidamente, ma i Bleus sono ugualmente tracimati con Tchouameni, con Giroud, soprattutto con Griezmann che, se non fosse per l'alieno Kylian, sarebbe a mani basse l'Mvp di questo Mondiale - e senza segnare nemmeno un gol. Un altro paradosso di cui è piena la storia dei Mondiali è che la Francia è uscita rafforzata dagli infortuni a catena, ultimo quello di Benzema: penso che i continui riferimenti alle assenze, o tutte quelle "top 11" sui francesi lasciati a casa, abbiano stuzzicato l'animo di questi giocatori che si dividono in due categorie: i campioni affermati e quelli che lo diventeranno (Tchouameni, Koundé, Upamecano, Theo Hernandez) cui non mancano certo autostima e personalità. E poi l'assenza di Benzema ha fatto rifiorire Giroud, a 36 anni autore di un 2022 da urlo: doppietta nel derby decisivo per lo scudetto del Milan, doppietta nella partita dell'aritmetica a Sassuolo, doppietta al Salisburgo nella sera della qualificazione agli ottavi di Champions. E mancano ancora due partite...

Fulvio - Giroud era stato quasi trasparente nel Mondiale che la Francia ha vinto in Russia e ti confesso che il suo esplodere in Italia (pensa che prima di lui nessun numero 9 del Milan aveva più superato la doppia cifra di gol dopo il ritiro di Inzaghi, sembrava una maledizione) avevo visto il solito giocatore fortissimo che a fine carriera riesce a fare la differenza solo in un campionato che ormai si è spento e diventa rifugio ultimo per chi vuol comunque giocare in una nazione che ha visibilità calcistica, ma sa di non potersi spingere oltre. Invece, nel Mondiale che in qualche modo ci ricorda l'importanza di avere un centravanti (fosse anche Petkovic) è uno dei giocatori migliori. Anche prima del gol decisivo contro l'Inghilterra ne ha sfiorato un altro con un tiro da rapace dell'area, che sembrava un po' una specie in via d'estinzione. Però questo fiorire di Griezmann e Tchouameni (un altro che scrivo solo con il copia-incolla) è possibile proprio grazie alla strepitosa forma di Mbappé. C'è stato un momento, contro l'Inghilterra, in cui lui ha detto, in pratica "fate bene a concentrarvi su di me", perché ha avuto un'accelerazione che sembrava impossibile da fermare. Se sai che non puoi distrarti nemmeno per un minuto su un avversario, qualcuno degli altri rischi fatalmente di perderlo.

Giuseppe - Però adesso chissà, storicamente le semifinali mondiali sono il regno dell'attesa e della difesa: 1-0 Spagna Puyol nel 2010, 1-0 Francia Umtiti nel 2018, un bruttissimo 0-0 tra Olanda e Argentina nel 2014, l'unica eccezione del torrenziale 7-1 della Germania al Mineirao... Anche se mi è difficile pensare a un Marocco che resiste ancora, e ancora, contro tutta la Francia: sarebbe roba da libri di storia, da rivoluzione araba, per tacere dei possibili risvolti sociali. Però ogni tanto la Storia avviene sotto i nostri occhi, e io - senza scomodare "La Haine", Mathieu Kassovitz, 1995, credo che il Marocco non avrebbe potuto scegliersi avversario migliore dell'amata e odiata Francia.

Fulvio - Avremo ancora molto tempo per fare i bilanci di questo Mondiale e raccontare le sue storie, anche se domani saremo già in fermento per la prima semifinale. Però voglio approfittare del dato che hai scritto degli argentini che giocano in Argentina e integrarlo con un altro che hai twittato: solo 16 giocatori sui 104 rimasti giocano nel campionato del loro paese: sei francesi, sei croati, tre marocchini e un argentino). Allora vogliamo dire ai profeti della ricostruzione del calcio italiano che “ci sono pochi italiani che giocano in Serie A” è una gigantesca fesseria? Serve a trovare una soluzione semplice, ma non reale, perché è evidente che il problema è il reclutamento dei giocatori, l’addestramento, l’investimento da fare. Questo Mondiale ci sta dicendo che si può crescere altrove è molto bene e che è il momento di far giocare i giovani, visto quante stelle abbiamo visto sapendo di vederle ancora a lungo. Dici che avremo imparato la lezione? Io ne dubito, perché questa lezione in realtà dovrebbe essere già vecchia e potevamo già capirla pensando che uno dei migliori calciatori della nostra Nazionale, Verratti, non ha mai messo piede in Serie A. Temo che passeranno altri anni in cui l’unica preoccupazione sarà solo trovare un modo per appianare i debiti con il fisco, cercando privilegi che altri non possono avere. Sì, volevo proprio parlare un po’ del nostro paese, e di quel provincialismo spicciolo che prova a nascondere la fuga di cervelli. Non nel senso di cui si parla abitualmente: qui parliamo proprio di cervelli che sono scappati lasciando a noi scatole craniche vuote.

Giuseppe -  Nel 2022 non penso abbia molto senso parlare di radici uniche e intoccabili. Le Federazioni più umili - il Marocco, ma non solo - hanno già avviato da tempo percorsi di rintracciamento di marocchini nel mondo e hanno proposto loro un posto a tavola nella Nazionale del loro paese. Nel basket abbiamo seguito un percorso simile con il wonderboy Banchero. Venendo al discorso della Serie A, è un campionato "poco allenante" (per usare la celebre definizione di Capello) per i giovani, per chi vuole prendersi rischi, per chi ancora ambisce a giocare leggero e pesante allo stesso tempo. Dire che Foden, Gvardiol, Camavinga, Bellingham difficilmente giocherebbero titolari in squadre di vertice italiane è ormai banalissimo; però è vero. Ma è vero anche che non abbiamo tutti questi talenti, e il problema allora è radicato più a fondo, nei settori giovanili, negli allenatori frustrati che puntano al risultato anche con squadre di under 13, e via via... quanto tempo a disposizione abbiamo?

Fulvio - In realtà ne abbiamo molto, ma abbiamo anche i prossimi giorni e una certezza, che tanto non servirà come lezione. In fondo la Nazionale è vista come un fastidio di fondo, qualcosa che ingombra gli spazi e non porta soldi. Il punto è che, ne ho parlato prima a proposito di Modric, i bambini scoprono comunque il calcio e il provincialismo diventa un boomerang. Se c’è un giovane calciatore di talento che ci sta leggendo, questo è il momento buono per espatriare. Fra qualche anno ci vediamo al Mondiale, magari.

Giuseppe - Ma è sempre il momento buono per espatriare, e non solo per vincere un Mondiale o perché l'Italia fa schifo (che poi non è affatto vero). È sempre il momento buono per aprire la mente, scoprire il Marocco o la Croazia che abbiamo dietro casa girato l'angolo, rivalutare il Bruno Petkovic da zero gol in serie A bollato come bidone, saperne di più su un Regragui o un Alexis MacAllister. Era questo il motivo per cui quello spot di inizio Mondiale di Louis Vuitton mi aveva dato sommo fastidio: ridurre una faccenda di sport e civiltà così complessa ai soliti noti, Messi e Ronaldo, come se non ci fosse più nulla da inventare, più nulla di cui sorprendersi. E invece, e invece.

Fulvio - Stiamo andando lunghi. Conserviamo le energie per le semifinali.

Giuseppe - Esatto, domani parliamo della psicopatia argentina applicata al pallone.

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