Foto Ap, via LaPresse

Qatar 2022

Dedizione, furore agonistico, senso tattico: il Giappone tra le grandi

Francesco Gottardi

Così il ct Hajime Moriyasu è riuscito a portare la Nazionale giapponese "in una nuova èra del nostro calcio"

L’evoluzione del Giappone è nei volti dei suoi tifosi. In apnea, per due interminabili minuti, mentre in sala Var si arrovellano al millimetro su quel pallone in gioco oppure no. Sugli spalti ci sono i soliti colori, i soliti hachimaki – le tradizionali bandane bianche col sol levante – che da sempre contraddistinguono le partite della nazionale. Però fremono tutti. C’è perfino chi piange a dirotto, in barba al proverbiale contegno emotivo, quando l’arbitro convalida il gol di Tanaka. E in campo è lo stesso: dedizione, furore agonistico, senso tattico. Tutto quel che serve per un’impresa mondiale. Lo percepisce anche Hajime Moriyasu. “I tempi sono cambiati”, dichiara il ct 54enne artefice del capolavoro, dopo il 2-1 sulla Spagna: “Questi ragazzi giocano in una nuova èra del nostro calcio”.

 

Addio fascino esotico, curiosità di facciata per uno sport che fino a trent’anni fa – zero presenze ai Mondiali, zero successi continentali – sapeva tutt’al più di moda occidentale. Addio safari del pallone, a caccia di connazionali straordinari da immortalare con le Nikon al collo in qualche remoto stadio d’Europa. E addio retorica da Holly & Benji, alleluia. L’estrema scivolata di Kaoru Mitoma – quasi mitama, che in giapponese significa “spirito della divinità”: quel tanto che basta affinché la palla sia dentro e la Germania fuori – è il perfetto passaggio di testimone dall’iperbole del celeberrimo anime, dove si difende in piedi sopra la traversa e i campi si allungano per chilometri, al gioco di Moriyasu. Lucido e concreto. Il suo Giappone è la prima squadra asiatica a battere due nazionali campioni del mondo – per altro non più tardi di otto e dodici anni fa – nell’arco della stessa competizione. Ha vinto, con merito, un girone dove tutti la davano per spacciata. E quasi ridevano, quando alla vigilia del torneo a Tokyo si diceva che “il quarto posto è un traguardo alla portata”. Invece ottavi di finale per la quarta volta, la più clamorosa: in passato non li ha mai superati e le semifinali restano una chimera, anche in virtù del potenziale incontro con il Brasile ai quarti. Ma di sicuro, l’intero pianeta calcio ha capito di dover prendere sul serio i Samurai blu.

 

D’accordo la simpatia. L’ammirazione per il codice di condotta comune, quasi bushido applicato allo sport: la pulizia degli spogliatoi e delle tribune lasciate dai nipponici al termine delle partite precedeva la loro fama, con tanto di “domo arigato” della Fifa. Ora però sono arrivate due vittorie epocali e sorelle. Vantaggio di Gundogan o Morata nel primo tempo, micidiale uno-due del Giappone nella ripresa. Sempre un attimo dopo l’ingresso in campo di Ritsu Doan, jolly offensivo del Friburgo e autore del gol del pareggio in entrambe le gare. Dove gli uomini di Moriyasu hanno racimolato il 18 e 26 per cento di possesso palla: capolavoro di cinismo e pressing alto, lasciando agli spettatori l’impressione di un’autentica prova di forza anziché della “sfangata” suggerita dalle statistiche. Sensazione di déja-vu. “Ho studiato moltissime gare della Juve in questi ultimi anni”, ha ammesso il ct: “Loro sono dei maestri in questo tipo di situazioni”.
Il problema del Giappone, appunti per i futuri avversari, è quando si tratta di fare la partita. Contro la Costa Rica ha tenuto il pallone per quasi il 60 per cento del tempo, tirando il triplo dei Ticos. Ma ha perso, senza riuscire a segnare nemmeno un gol a una squadra che ne ha subiti addirittura 11 negli altri due match. Stessa musica nel 2019, nella sfida che forse più di tutte ha ingannato le gerarchie del Mondiale che sarebbe stato: in finale di Coppa d’Asia i Samurai blu palleggiano, macinano gioco e occasioni. Ma a vincere è stato il Qatar per 3-1 – a posteriori, classica partita della vita, con tanto di gol di Almoez Ali in rovesciata.

 

“Nei minuti finali contro la Spagna”, sorride ora Moriyasu, “ho avuto paura che si ripetesse la tragedia di Doha”. Che nella storia locale vuol dire un’altra beffa, anno 1993, quando il pareggio in extremis contro l’Iraq estromise il Giappone dalla sua prima partecipazione ai Mondiali. Quel giorno in campo c’era anche Moriyasu. “Per un attimo mi è scorsa davanti tutta la mia carriera”, al Sanfrecce Hiroshima, da centrocampista prima e da allenatore poi. Prima di raccogliere le redini della nazionale nel 2018, e vincere 41 partite su 62. “Ma proprio allora ho visto i miei ragazzi aggredire i palleggiatori spagnoli, col fuoco dentro e le ultime energie rimaste. Ho capito che ce l’avremmo fatta”. E che il paese s’è fatto calcio.

Di più su questi argomenti: