Foto di Alfredo Falcone, via LaPresse 

modelli di trasparenza

Caro Lerner, ecco cosa rappresenta davvero il caso Juve

Claudio Cerasa

Non è l’emblema di un sistema marcio ma il simbolo di un capitalismo che sa smascherare le opacità del mercato

In una formidabile, suggestiva e significativa supercazzola pubblicata ieri sul Fatto quotidiano sul caso delle disavventure giudiziarie della Juventus, un giornalista autorevole, Gad Lerner, ha offerto ai propri lettori la peggiore chiave possibile esistente al mondo per provare a orientarsi sul caso Agnelli e sul tentativo della Juventus, non sappiamo quanto riuscito, di supercazzolare la Consob pasticciando con i propri bilanci. Titolo: “Dai guai della Juve all’Ilva. Un calcio al capitalismo”. Svolgimento: il caso Juve è l’esempio perfetto di un sistema capitalistico marcio, putrefatto, malato ed è un tassello di un mosaico più grande, di una serie “di operazioni fallimentari che minano alla radice il nostro sistema economico proprio là dove l’impresa privata avrebbe dovuto svolgere un ruolo da protagonista”.

 

Dice insomma Lerner: guardate il caso Juve e capirete perché la rincorsa al capitalismo sfrenato produce grandi disastri. Ci permettiamo con simpatia di far notare al compagno Lerner che il capitalismo che tende a disprezzare di solito è solo quello che non sa che farsene del suo Iban, che semmai la vicenda Juventus dimostra l’esatto contrario e dimostra che sono proprio gli strumenti del capitalismo, e in questo caso gli strumenti della Borsa, ad aver contribuito ad accendere un faro su quello che ha combinato la Juventus. E da questo punto di vista il caso Juve non è il simbolo di un capitalismo andato a ramengo ma di un capitalismo che quando si affida pienamente al mercato ha maggiori doveri di trasparenza.

 

La Juventus, come è noto, è quotata in Borsa. Chi è quotato ha maggiori obblighi, rispetto a chi non è quotato, sul fronte della rendicontazione del bilancio. E paradossalmente è proprio l’assenza, in Italia, di una buona dose di cultura del rischio ad aver creato una presenza eccessiva nel nostro mercato di aziende famigliari, alcune delle quali hanno rinunciato a diventare più grandi, non quotandosi sul mercato, a volte anche per non dover fare i conti con i pesanti vincoli di trasparenza che hanno le società quotate. È dura da accettare, per i nemici del capitalismo, ma la verità è che più si demonizza il sistema finanziario e più si alimenta la non trasparenza. E in questo senso il caso Juve dimostra che le società che vogliono diventare più grandi di quello che sono, cercando capitali sul mercato, hanno sì maggiori opportunità di crescita ma hanno anche maggiori doveri, maggiori vincoli e maggiori paletti da rispettare.

 

A Gad Lerner, poi, per approfondire il tema, suggeriamo la lettura di uno studio interessante pubblicato qualche anno fa dalla Consob che dopo aver preso in esame i bilanci di una serie di aziende nell’arco di dieci anni, alcune quotate e altre non quotate, ha notato che le società quotate hanno registrato tassi di crescita dell’attivo sensibilmente più alti di quelli delle omologhe società non quotate (110 per cento contro 41 per cento) e tassi di crescita “notevolmente superiori” rispetto alle non quotate in termini non solo di fatturato, ma anche di investimenti e di occupazione, proprio grazie a una maggiore possibilità di ricorso al capitale di debito.

 

Al contrario, le società non quotate hanno mostrato di avere maggiori vincoli finanziari in termini di capacità di raccolta di capitale di rischio, hanno registrato costi molto elevati in termini di minore crescita e redditività hanno mostrato di essere “più esposte a fenomeni manipolativi”, tanto da configurare l’esistenza di “un incentivo razionale che spinge il management delle medie imprese italiane a non intraprendere la strada che porta all’ingresso in Borsa in quanto ciò precluderebbe la possibilità di sfruttare i maggiori gradi di libertà di cui godono le imprese non quotate nella predisposizione dei bilanci annuali”. Se c’è una lezione che si può trarre dal caso della Juventus quella lezione è esattamente all'opposto di quanto sostenuto da Lerner: più capitalismo uguale più regole, più regole uguale più trasparenza, più trasparenza uguale più possibilità di verificare se i pasticci contabili sono reati, oppure no.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.