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“Sul ring chiamatemi pugile”

Irma Testa tra Meloni, Egonu e lo scetticismo per la boxe femminile

Fausto Narducci

La campionessa, bronzo olimpico a Tokyo 2020, vola alto già a 24 anni: "Le mie origini sono state un trampolino di lancio, non un ostacolo". E sull'attuale presidente del Consiglio: "mi sento orgogliosa quando una donna tiene testa agli uomini anche in Parlamento"

Il suo soprannome è Butterfly, come la farfalla che volteggiava sul ring con Muhammad Ali: “Pungi come un’ape, vola come una farfalla”. Irma Testa sulle orme del suo illustre predecessore, sa volare alto già a 24 anni. Sul ring di Budva, in Montenegro, si è appena confermata campionessa europea dei piuma (57 kg) battendo in finale la bulgara Svetlana Staneva con una straordinaria prova di superiorità, ma – difficile a credersi – è quando scende dal ring che l’atleta di punta dell’intero movimento pugilistico italiano dà il meglio di sé.

Anzi, basta ascoltarla per capire che nella consapevolezza di essere un personaggio, l’atleta e la donna vanno di pari passo. Da Meloni a Egonu non c’è argomento che colga Irma Testa impreparata, come dimostrato nei passaggi televisivi che testimoniano la sua crescente popolarità. Irma, protagonista di un film e di un libro autobiografico, dopo il bronzo olimpico di Tokyo – prima medaglia femminile della nostra boxe – aveva fatto notizia anche per il suo coming out, eppure abbiamo l’impressione di esserci persi qualcosa nella crescita personale di questa napoletana, oggi felicemente trapiantata ad Assisi, che dopo il titolo europeo si è rifugiata in famiglia, nel rione Provolera, quartiere popolare alla periferia di Torre Annunziata. Mentre ci parla al telefono si sentono sullo sfondo le urla festose della nipotina di un anno e mezzo. 

“Che orgoglio. Un’altra Irma Testa, mio fratello Michael l’ha chiamata proprio come me. Ho due fratelli e una sorella maggiore, Lucia, che mi ha avviato al pugilato. Siamo una famiglia molto unita e sono rispettosa delle mie radici, anche se non ho difficoltà a riconoscere che il pugilato è stato il mio riscatto. Ma le mie origini sono state un trampolino di lancio, non un ostacolo. La boxe era e rimane uno sport povero: per praticare certe discipline occorre il conto in banca, a noi bastano due guantoni e te li regalano pure, naturalmente usati, se sali sul ring. Non per niente in Italia, in questo momento difficile, le palestre sono piene, soprattutto di donne. A nessuno è precluso fare il pugilato, anche se la storia del ring come riscatto sociale è anche la nostra condanna. Ci dimentichiamo che la boxe è la noble art”.

 

Nella boxe le donne sono state accolte con scetticismo, ora sono trainanti per tutto il movimento.
“Non so perché adesso nella boxe italiana le donne siano più forti degli uomini ma è certo che abbiamo dovuto superare la diffidenza dell’ambiente. A noi nulla è dovuto: un uomo ha la strada spianata per eccellere nello sport, noi ce la siamo dovuta sudare, soprattutto nella boxe. Noi donne per essere accettate dobbiamo meritarcelo dieci volte più degli uomini. Solo oggi abbiamo raggiunto la parità e l’uguaglianza, come dimostra la partecipazione equiparata alle Olimpiadi. Lo sport arriva sempre per primo alle conquiste sociali”. 


Vuole dire che nella società non è stata ancora raggiunta la parità uomo-donna?
“Non spetta a me dirlo ma guardate Giorgia Meloni. Per diventare la prima premier donna ha dovuto superare mille ostacoli. Non voglio essere fraintesa perché il mio non è un discorso politico ma mi sento orgogliosa quando una donna come me tiene testa agli uomini anche in Parlamento. Come combattente del ring mi riconosco nella sua grinta. Anche nella campagna elettorale non ha mai perso un colpo, come facciamo noi donne nel pugilato”.

 

La Meloni si è definita “il presidente del Consiglio” al maschile, lei preferisce essere chiamata pugile o pugilessa?
“Per me è indifferente. Ma preferisco pugile”


Il caso Egonu dimostra però che anche nello sport esistono forme di discriminazione. Secondo lei ha fatto bene la nostra pallavolista di punta a denunciare le offese ricevute per il colore della pelle?
“Ha fatto benissimo, non c’è niente di montato nella sua vicenda. Il fatto è che dopo il ritiro di Federica Pellegrini, Paola al di là del colore è il simbolo di tutto lo sport femminile italiano. Non la conosco benissimo ma l’ho vista alle Olimpiadi e so come il mondo della pallavolo l’ammira. Per me è un modello anche per l’immagine che ha saputo costruire fuori dal campo. Non c’è nessuno come lei, è ingiusto quello che ha subito”.


Anche lei è  stata oggetto di discriminazione per le tue scelte sessuali?
“No, non mi sono mai sentita esclusa. Ma vi racconto un segreto: anche nella ci boxe sono tante azzurre e azzurri di colore ma noi sulle differenze ci scherziamo sempre, usiamo l’arma della leggerezza. Sappiamo benissimo che ci sono ragazze che vengono da Napoli o da Milano, che ci sono colori e culture diverse ma ne siamo orgogliosi. Questa è la forza dello sport non la debolezza”.


Eppure è quasi certo che dopo Parigi 2024 la boxe rimarrà fuori dalle Olimpiadi.
“Questa è un’altra storia. È in atto una lotta fra la federazione mondiale della boxe e il Cio. Forse sono stati commessi anche degli errori ma non sarebbe giusto privare le campionesse del futuro del sogno olimpico. Senza Olimpiadi che senso avrebbe compiere i sacrifici che occorrono nel nostro sport. Noi atleti siamo le vittime del sistema. Non si può cancellare uno degli sport più antichi dell’Olimpismo”. 


Però anche a Budva i giudici non sono sempre stati all’altezza della situazione. Uno è riuscito a vederla perdente nel primo round della finale che aveva dominato.
“Può succedere, sì. Non credevo ai miei occhi quando ho visto i punteggi nell’intervallo prima del secondo round. Ma io a questi Europei mi sono divertita e ho lavorato soprattutto di testa: con la Stevanova avevo perso di misura tre settimane prima in Bulgaria e mi sono detta: “Ora so come prenderti”. Avevo già vinto il titolo nel 2019 ma confermarsi è più difficile”.


Ad Assisi vive in ritiro permanente, si allena due volte al giorno, anche al sabato e alla domenica. Eppure dopo la delusione di Rio, quando da quasi favorita è stata eliminata nei quarti, ha deciso di raddoppiare l’impegno.
“Alla mia prima Olimpiade ho sottovalutato le avversarie, forse ho commesso un peccato di presunzione. Poi mi sono trovata davanti a un bivio: stavo per mollare ma poi ho deciso che non potevo rinunciare alle mie ambizione di ragazza umile che non aveva potuto neanche studiare. E infatti eccomi qui: ora voglio riprendere gli studi, andare all’Università e, dopo lo sport, dedicarmi a tempo pieno alla Polizia. In fondo oltre alla mia famiglia, al mio allenatore azzurro Emanuele Renzini e ai maestri Zurlo che mi hanno cresciuto devo molto proprio al corpo militare che mi ha dato la sicurezza economica. Ho un debito di riconoscenza”.


Sogna di diventare un modello come la Pellegrini o la Egonu?
“Magari, sto lavorando per questo”.  

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