Il Foglio sportivo

La boxe femminile in Italia, dalla Moroni al bronzo della Testa

Alberto Facchinetti

La prima storica medaglia olimpica della boxe femminile italiana, vinta a Tokyo da Irma Testa, è arrivata a pochi giorni dal ventennale della nascita in Italia della disciplina. Qui il pugilato rosa esiste infatti solo dal 2001, prima ufficialmente non c’era. Quando Irma veniva al mondo a Torre Annunziata nel dicembre 1997, nel nostro Paese alle donne non era permesso di salire su un ring per boxare. Negli anni Novanta qualche pioniera si poteva trovare, atlete che provenivano spesso da altri sport da combattimento e che per fare il pugilato dovevano andare all’estero con licenza straniera. Stefania Bianchini, classe 1970, è stata una campionessa di kickboxing, arrivata poi nel 1999 al titolo europeo WIBF di pugilato ma con tesserino tedesco. La sua coetanea Maria Rosa Tabbuso fa lo stesso percorso, affiliandosi anche lei alla federazione della Germania. Ad inizio del nuovo millennio Maria Moroni va a combattere a Rijeka con licenza croata e negli Stati Uniti con quella americana, grazie ai buoni uffici che negli States ha l’ex campione europeo Luigi Camputaro.

Poi, nell’aprile 2001, viene autorizzato in Italia il pugilato agonistico femminile, in Gazzetta Ufficiale compare finalmente il sì alle donne boxeur. Dal 25 aprile dell’anno prima c’è il secondo Governo Amato, che si sta concludendo proprio in quelle settimane. Il lavoro viene portato avanti dal Ministro della Sanità Umberto Veronesi e da Katia Belillo, che è alle Pari Opportunità. Franco Falcinelli è da poco il Presidente della Federazione Pugilistica Italiana, eletto dopo il mandato di Gianni Grisolia che molto si era speso per questa novità. Le donne, con protezioni ed esami medici diversi rispetto agli uomini, ora potranno salire sul ring. Qualche mese dopo si svolgono i primi incontri. Il 21 luglio a Castel Ritaldi (provincia di Perugia) Maria Moroni, che nell’occasione riceve da Falcinelli la tessera numero uno della Federazione, è impegnata con l’ungherese Angela Nagy nella categoria piuma. La sconfigge per ko tecnico alla terza ripresa. A pochi chilometri di distanza, Umbertide è sempre in Umbria, Sonia De Biase ha la meglio su un’altra ungherese, Viktoria Varga. Le telecamere della Rai seguono l’incontro di Moroni, poco dopo quelle di Mediaset riprendono il match di De Biase.
 
“Io sono finita su un ring per caso – racconta a Il Foglio Sportivo Maria Moroni – non avevo esperienze con altre discipline da combattimento, avevo fatto invece pattinaggio e danza. Nella palestra di Foligno insegnava già Emanuele Renzini, che con Raffaele Bergamasco si impegnavano come stessero per inventarsi daccapo un nuovo sport. Entrambi sono stati fondamentali”. Lo sono ancora. Renzini è l’attuale tecnico della Nazionale femminile e quindi è il Maestro che ha guidato al bronzo Irma Testa. Bergamasco allena invece la selezione delle donne indiane, portando anche lui a medaglia una sua atleta. “Prima del decreto ministeriale del 2001 – continua Moroni - una ragazza non poteva decidere di fare la boxe. È la donna che può decidere cosa praticare o è lo sport che sceglie per lei, scusatemi? È stato un risultato storico a livello di pari opportunità. All’inizio mi dicevano che ero matta, semplicemente mi veniva bene boxare”. Moroni riuscirà a vincere più volte un titolo europeo Ebu. “Ho conquistato tutto quello che potevo”. Quando smette per motivi di studio ed economici, non è ancora stato organizzato il primo mondiale femminile.


Un titolo iridato riuscirà a vincerlo invece Stefania Bianchini, la cui cintura verrà sottratta nel 2008 da un’altra italiana, Simona Galassi. Galassi ha precorso i tempi, al pari delle colleghe già citate. La sua carriera, iniziata nel 2001, sarà splendida. Aveva praticato a livello agonistico la kickboxing, ma quando il pugilato femminile diventa legale, cambia sport. Farà la dilettante per un po’. Il 2001 è l’anno in cui nasce la boxe in Italia sia a livello professionistico che dilettantistico. Moroni, avendo già due match alle spalle, è obbligata a iniziare subito da pro, Galassi opta per l’altro percorso. In 87 match ne vincerà 86, perdendone solo uno molto discusso in Turchia. Farà suoi ben tre mondiali, poi diventa professionista senza fare in tempo a partecipare alle Olimpiadi perché la disciplina è stata inserita nei Giochi solo a Londra 2012. Simona passa Pro nel 2006, diventa campionessa europea nel 2007, l’anno dopo strappa il titolo Wbc dei Mosca a Bianchini, difendendolo più volte e conquistando anche quello Ibf.

“Quando sono passata alla boxe – dice al Foglio Sportivo – ho trovato un mondo nuovo rispetto alla kick, che era un’attività quasi privata, divisa in mille federazione. Il pugilato ha una storia lunga alle spalle ed esiste in tutto il mondo. Rispetto ai primi tempi, ci sono stati grandi cambiamenti. All’inizio anche i giornali ci consideravano alla stregua di fenomeni da baraccone. Vanno a farsi dare le botte in America, dicevano di noi. C’era tantissima diffidenza proprio all’interno del nostro ambiente. Ma io, con calma, sono sempre riuscita a conquistare il rispetto di tutti: allenatori, medici federali, giornalisti, gestori di palestre. Un’esperienza olimpica mi è mancata molto, penso tuttavia che il vero pugilato sia quello pro. Io la sofferenza l’ho sentita solo là perché un conto è combattere su tre riprese, un conto su dieci. È dura arrivare in fondo, quando non ce la fai più e hai preso un colpo che fa male. Devi tirare fuori tutto, non solo la tecnica. Io credo che un atleta dovrebbe fare il passaggio nei professionisti”. “L’Olimpiade è il sogno dello sportivo, il mondiale quello del pugile”, conferma Maria Moroni.
 
Il punto più alto del pugilato femminile in Italia probabilmente è stato toccato qualche settimana fa con Irma Testa, sulla quale nel 2018 è stato girato da Alessandro Cassigoli e Casey Kauffman un documentario dal titolo Butterfly, il suo soprannome. Le Olimpiadi, e quest’ultima ha catturato particolarmente l’interesse della gente, sono il momento in cui, almeno per qualche settimana, l’evento sportivo arriva al grande pubblico. La medaglia di Testa è un risultato incredibile per il movimento, il cui riscontro si dovrebbe vedere nei prossimi mesi. Irma è stata la prima pugile italiana a partecipare alle Olimpiadi. Cinque anni dopo il suo esordio a Rio, il femminile ha portato quattro atlete a Tokyo e il maschile zero (non era mai successo nella storia). In Giappone, la ventitreenne di Torre Annunziata ha perso in semifinale con la filippina Nestht Petecio, ma le è bastato per regolamento per mettersi al collo un bronzo che non ha precedenti, dopo aver sconfitto meritamente Vorontsova, Walsh e Veyre. Già così è il simbolo della crescita della boxe femminile azzurra. “Mi auguro – spiega al Foglio Sportivo - che la mia medaglia serva. In 20 anni sono stati fatti passi da gigante, ma c’è ancora bisogno di abbattere qualche stereotipo che ci ronza attorno. In un incontro tra due donne, il pubblico che guarda deve pensare: oddio, quanto è bello! Tra gli appassionati storici, quelli che si svegliavano di notte per vedere Tyson, spesso la boxe è sangue e nasi rotti, eppure è tanto altro e anche le donne la sanno fare bene”. 


L’idolo di Irma è Katie Taylor, peso leggero irlandese, oro olimpico a Londra e forse la miglior pugile al mondo in attività. Ringrazia le sue connazionali che a inizio millennio hanno aperto le danze, ricordando anche Marzia Davide e Romina Marenda. “La mia vita è cambiata pochissimo, anche se la gente ha seguito con molto interesse i miei incontri olimpici e ora mi riconosce di più. L’obiettivo adesso è quello di arrivare fra tre anni ai Giochi di Parigi e fare bene come ho fatto a Tokyo. Mi basterebbe arrivarci nelle stesse condizioni psicofisiche con cui sono andata in Giappone”. E chissà se poi passerà tra i professionisti o continuerà a rimanere con le Fiamme Oro a caccia di ulteriori record olimpici. “Non lo so – conclude – al momento non ci penso. In ogni caso credo che la boxe sia sempre boxe, l’importante è saperla fare”.

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