ciclismo su pista

Elia Viviani ha spostato un po' più in là il confine del nostro stupore

Domenica il veronese ha vinto l'oro nella corsa a punti ai Mondiali di ciclismo su pista. Una nuova pagina di quel romanzo incredibile che il velocista della Ineos ha scalfito ruote su legno

Giovanni Battistuzzi

Sabato dopo la conclusione dell'ultima prova dell'Omnium (qui spiegavamo cos'è questa specialità) ai Mondiali di ciclismo su pista, Elia Viviani aveva negli occhi un grande rammarico e una qualche piccola consapevolezza. Avrebbe voluto più del settimo posto, sapeva che era alla sua portata. Era soprattutto consapevole che, al solito, ci sarebbe stato qualcuno, ci sono sempre, che avrebbe sottolineato, e non senza biasimo, che il settimo posto era una delusione e che il suo tempo, in questo ciclismo, se non già passato era quantomeno alle fasi finali. È da anni che viene o sottinteso questo: a ogni passo falso del veronese c'è sempre chi, e con soddisfazione, tira in ballo l'inesorabile fine ciclistica del velocista della Ineos.

 

Ci ha fatto il callo Elia Viviani a tutto questo. A ogni anno difficile su strada, tutto questo si ripete. E mica da ieri: dal 2016 a questa parte. Brutta bestia l'invidia. Perché accada tutto questo a una persona come Elia Viviani è parecchio complicato capirlo, forse è parte della solito contorto e assurdo piacere nostrano per gli sportivi (e non solo) di successo in difficoltà.

 

È mica andata bene la stagione 2022 a Elia Viviani: due successi in gare minori, qualche piazzamento, quasi nessuno in quelle corse notorie anche ai non appassionatissimi di ciclismo. In mezzo la medaglia d'oro nella corsa a eliminazione agli Europei di ciclismo su pista, cinque ore dopo aver concluso al settimo posto la prova su strada ai campionati europei. Un risultato strabiliante. Se non fosse che erano gli Europei, e quindi per i detrattori da social e da divano, pressoché una robetta. Non è così ovviamente, ma vallo a spiegare.

 

Sabato sera Elia Viviani aveva trentatré anni e nei velodromi aveva conquistato un oro olimpico, uno mondiale e otto europei. Eppure non gli è venuto nemmeno in mente di dare ascolto a chi sosteneva fosse finito, a pensare al passato: “Il bilancio non è positivo, bisogna lavorare in vista di Parigi 2024. Alla corsa a eliminazione ci arrivo bene. Devo trovare una extra-motivazione, partire più cattivo ed essere un po’ più furbo di quanto sia stato nell’eliminazione dell’Omnium (4°). Ma sarà un’altra storia, è una gara per le medaglie”.

 

S'è mai pianto addosso Elia Viviani, anche se è difficile capire perché si è apprezzati meno di quanto ci si aspetterebbe dopo tutto quello che si è dimostrato in carriera. C'ha mai pensato troppo, ha sempre pedalato per la sua strada e la sua strada lo portava di continuo a sfidare un paese che stava scordando i velodromi. L'oro nell'Omnium alle Olimpiadi di Rio 2016 evitò che l'Italia scordasse i velodromi e contribuì a una generazione di corridori di poter sognare ovale. Quella generazione ora si sta facendo applaudire dagli italiani e da politici che non hanno mai messo il ciclismo e le biciclette all'interno dei loro pensieri politici.

 

Domenica, nella corsa a eliminazione, Elia Viviani ha fatto quello che ha sempre fatto, di anno in anno, di velodromo in velodromo: ha spostato un po' più in là il confine del nostro stupore.

 

     

Domenica, nella corsa a eliminazione, Elia Viviani ha conquistato il suo secondo oro in un Mondiale, lo ha fatto al termine di una gara furba, cattiva, perfetta quando serviva la perfezione. È una gran confusione la corsa a eliminazione, ci vogliono gambe e intelligenza, tattica e ciclistica: una volata dietro l'altra, l'ultimo a passare la linea d'arrivo viene eliminato. L'avevano mai presa davvero sul serio però quelli della Union Cycliste Internationale, l'avevano sempre considerata un riempitivo riunione su pista, buona al massimo per una Sei giorni, un passaggio dell'Omnium (disciplina anch'essa introdotta abbastanza recentemente, nel 2007). È diventata casa di Elia Viviani. Ha vinto solo lui, per ora, nella storia dei Mondiali di ciclismo su pista. È diventata la nuova pagina di quel romanzo incredibile che Elia Viviani ha scalfito ruote su legno.

 

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