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Non eravamo fenomeni a Tokyo, non siamo brocchi ora. Quanto vale l'atletica italiana?

Francesco Gottardi

A meno di un anno dalle Olimpiadi più vincenti di sempre, gli Azzurri tornano a casa dai Mondiali di Eugene con un solo primo posto. Il movimento resta in costante crescita. La vera prova saranno i Giochi di Parigi 2024

Dov’è finito tutto quell’oro. L’avrà detto pure qualche sfortunato cercatore dell’Ottocento, giunto fino all’Oregon carico di aspettative. Oggi, ai Mondiali di Eugene, nonostante la prudenza del direttore tecnico Antonio La Torre, l’Italia dell’atletica arrivava con inevitabile spinta a cinque cerchi. E altrettanti primi posti, miglior score di Tokyo 2020 dopo gli Stati Uniti. Più quella prestigiosissima palma del citius et altius, che fa mezzo motto olimpico, conquistata in un irripetibile battibaleno: l’abbraccio Tamberi-Jacobs è storia dello sport. Non si scomodi la congiuntura astrale, dunque. Ma nemmeno un anno più tardi, tornare dalla spedizione americana con il solo trionfo di Massimo Stano nella marcia e il bel bronzo di Elena Vallortigara nel salto in alto è uno scottante ritorno alla realtà. Che non vuol dire riscoprirsi brocchi all’improvviso, o tornare alla memoria dei Giochi senza podi di Rio 2016. Ma fare i conti con i dettagli: centimetri, nanosecondi, acciacchi fisici. Tutto quel che in Giappone giocò a favore degli Azzurri, ora è girato storto.

   

Dicevamo, le previsioni. Osservatori e addetti ai lavori erano concordi nel ridimensionare l’exploit delle ultime Olimpiadi: la testata americana Track & Field News dava all’Italia quattro medaglie totali, di cui correttamente l’oro di Stano come undici mesi fa. Più che fatalismo sono leggi fisiologiche dello sport. Che nello stesso arco di tempo, per esempio, hanno sorriso al nostro nuoto (da Tokyo a Budapest, da zero a 9 ori) e castigato il nostro calcio. C’è stato poi un percorso di avvicinamento caratterizzato da “qualche infortunio di troppo, in tutte le categorie”, il numero uno della Fidal presentava i suoi 60 atleti qualificati. E poi sono arrivate le gare. Dal più in alto al più veloce. Gianmarco Tamberi era reduce dalla sfiorata separazione tecnica dal padre-allenatore e da un problema muscolare alla gamba sinistra. Ha saltato 2 metri e 33 centimetri, 4 in meno che a Tokyo, chiudendo terzo come l’ucraino Procenko. Ma con un errore in più: in Giappone l’arrivo a pari merito col qatariota Barshim era valso un oro per due, a Eugene la medaglia di legno. Dettagli, appunto. Lamont Marcell Jacobs invece ha rinunciato a difendere il titolo olimpico nei 100 metri piani e nella staffetta 4x100 per una contrattura all’adduttore: l’indizio sinistro è che si tratta del quinto forfait in tre mesi, la gestione e la preparazione atletica del numero uno diventano un rebus. O un peso per la serenità mentale.

  

Altro giro altra beffa, con Filippo Tortu. Lo staffettista della leggenda, che agli ultimi Giochi bruciò i britannici (poi squalificati) al fotofinish per un centesimo di secondo, a Eugene fa registrare il record personale di 20”10 nei 200 metri. Ma non gli è bastato ad accedere alla finale, per appena tre millesimi. E il ritiro di Jacobs (lo ha sostituito Chituru Ali, sparigliando il collaudato ordine di corsa ammirato a Tokyo) ha compromesso anche la 4x100 azzurra, che da detentrice del titolo olimpico è stata eliminata già in batteria. Così Eugene avrebbe fatto cantare il de profundis, se non fosse stato per l’ultimo giorno di competizioni: Stano si riconferma il marciatore più forte del mondo (nonostante il cambio di specialità, da 20 a 35 km) e l’Italia salva la faccia nel medagliere. “Con Antonella Palmisano”, anche la nostra quinta gioia dell’atletica in Giappone oggi era bloccata da un infortunio, “avremmo vinto un oro in più”, è sicuro Stano all’arrivo.

   

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Rimpianti, ma anche la consapevolezza che la tradizione azzurra nella marcia resta una garanzia. Il resto, un cantiere aperto. “È stato un Mondiale complesso”, non cerca scuse il d.t. La Torre. Per poi puntare il dito sul folto tavolo dei delusi: “Atleti di prima fascia come De Grasse, Gardiner e Warholm hanno riscontrato le nostre stesse difficoltà. E pure altre nazionali”. Mal comune mezzo gaudio: nessun paese europeo a Eugene è andato oltre la singola medaglia d’oro. Nessuno (Polonia e Paesi Bassi) oltre le quattro complessive. Perfino Francia e Germania hanno chiuso all’asciutto, il flop delle rivali di sempre a consolare la nostra atletica. “Rosico”, ammette Jacobs. “Forse avevamo bisogno di uno schiaffo”, suggerisce Tamberi, “per ricordarci chi siamo”.

 

Ecco: una nazione che nel 2021 registrava 228.093 atleti tesserati, +17 per cento sul 2020. Numeri simbolo di un movimento in costante crescita, soprattutto a livello pro, e che ancora non tengono conto dell’effetto Olimpiadi. Per quello si aspettano le prossime: “L’obiettivo di tutti resta Parigi 2024”, garantisce La Torre. Lì non ci sarà l’Italia di Tokyo. E nemmeno quella di Eugene.