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Il Foglio sportivo

Leclerc merita di essere il numero uno della Ferrari

Umberto Zapelloni

Non lo chiedono solo i numeri, ma il talento, la grinta, il suo ottimismo. E il saper essere davvero un uomo di squadra 

Non lo consiglia soltanto l’aritmetica, anche se 37 punti in più rispetto al suo compagno sarebbero un bell’aiuto per scegliere. La Ferrari deve decidersi ad affidare a Charles Leclerc la fascia da capitano e a puntare tutte le sue fiches sul numero 16. Mancano undici gare, la Ferrari è in ritardo e non può più regalare punti alla concorrenza per cercare di tenere in gruppo anche Carlos Sainz. Mattia Binotto ricorda che non esiste soltanto il Mondiale Piloti, ma in ballo c’è anche il titolo Costruttori, quello che piaceva tanto a Enzo Ferrari perché premiava la Scuderia e non soltanto i suoi piloti. È verissimo. La Ferrari ha 56 punti di ritardo tra i Costruttori e Leclerc ha 38 punti in meno di Verstappen tra i piloti. In palio ci sono ancora 294 punti, un’infinità.

 

La Ferrari può, anzi deve, cercare di restare in lotta il più a lungo possibile in tutti e due i campionati. Perdere un mondiale all’ultima gara oggi sarebbe quasi un trionfo. Non è come ai tempi di Montezemolo che veniva crocifisso se il campionato cambiava direzione negli ultimi chilometri, come è capitato con Schumi, Alonso e perfino con Massa. 
Charles Leclerc ha qualcosa in più di Carlos Sainz. Non volerlo ammettere, a meno che non si faccia parte della famiglia allargata dello spagnolo, è preoccupante. Sainz è un ottimo pilota, un bravo ragazzo con grandi ambizioni, ma ha qualcosa in meno di Leclerc.

 

Non parliamo di punti perché l’anno scorso Sainz ne ha ottenuti anche di più del compagno di squadra. Leclerc è un “predestinato” come grida su Sky Carlo Vanzini tutte le volte che vince (e sono già 5), ma soprattutto è un ragazzo che con il passare del tempo ha aggiunto alle notevoli dote tecniche anche una corazza indistruttibile. Charles sa trasformare dolori e difficoltà in carburante per le sue imprese. È stato così con i grandi lutti della sua vita, la perdita del padre, del suo amico Jules Bianchi, di Anthoine Hubert che aveva cominciato insieme a lui. Ma è così anche con le difficoltà che ha dovuto affrontare in questi suoi anni in Rosso. In passato abbiamo visto e soprattutto sentito, piloti che a un errore della Scuderia, a un problema tecnico, reagivano spaccando e dicendo di tutto.

 

Charles si arrabbia, ma poi sa spegnere le fiamme con la rapidità di un angelo della Cea. Ha la capacità di mettere il bene della squadra davanti al proprio, sa essere uomo squadra come lo è stato Schumacher nei primi anni quando ci aveva rimesso anche una gamba, fratturata a Silverstone nel 1989. Schumi era uno che all’interno dei box sapeva essere feroce. Ma all’esterno o non parlava o sorrideva. Ha sempre cercato di risolvere i problemi all’interno e quando ha capito che uno dei suoi uomini di fiducia faceva il doppio gioco foraggiando i media tedeschi con notizie al veleno, lo ha sostituito con Sabine, la persona che poi è diventata sua manager o oggi è l’angelo custode di suo figlio Mick.

 

La forza mentale è certamente una delle doti migliori di Charles. Non si abbatte mai, sa voltare pagine in fretta ed ha un ottimismo che dovrebbe essere esportato.
In pista poi ha lavorato al suo punto debole: la gestione delle gomme e della gara. La vittoria in Austria dimostra quanto sia cresciuto, aggiungendo alla sua naturale aggressività, una lettura della corsa che ricorda certe imprese dei più grandi. Saper leggere una corsa, saper scegliere il momento giusto in cui andare all’attacco e risparmiare le gomme per il momento dell’affondo sono doti particolari che ricordano certe imprese di Schumacher o di Alonso, veri professori nella gestione delle gare. Charles riesce a farlo senza dimenticare la sua aggressività che può invece esaltare in qualifica.

 

Nel giro secco oggi è certamente al livello di Max e Lewis se non addirittura ad un livello superiore. È diventato un vero uomo da qualifica. E anche qui lo confortano i numeri con 6 pole su 10 tentativi (in Canada non ha potuto partecipare per la penalizzazione). L’aggressività della qualifica riesce poi a portarsela in gara quando viene il momento di attaccare un avversario. Dopo l’esagerazione che gli è costata il podio a Imola, non ha più sbagliato e vincere in Austria superando tre volte in pista Max Verstappen è la sublimazione del suo modo di correre. Aveva davvero bisogno dell’auto giusta per potersi esprimere. Questa SF 75, quando non si rompe, esalta le sue doti di attaccante e lui in Austria ha dato dimostrazione di saper anche dribblare le difficoltà presentatasi nei dieci giri finali sotto forma di un pedale del gas che non tornava più al suo posto.

 

Certo non può farci nulla se un motore gli va arrosto mentre viaggia verso la vittoria a Baku o Barcellona o se il team lo sgambetta con una strategia sbagliata come a Monte Carlo o a Silverstone. Charles Leclerc sarebbe piaciuto ad Enzo Ferrari perché non si è mai lamentato della macchia anche quando ne avrebbe avuto il motivo, è un inguaribile ottimista con il sorriso sempre a disposizione, anche quando beffardo dice “basta vincere le prossime gare. Quante sono? Ah sì undici … e siamo campioni”.

 

Non ci crede neppure lui, ma cominciare a giocare anche con la fiducia dei suoi avversari è il segno che è davvero pronto a diventare campione del mondo. Dovrebbe forse solo imparare ad esaltare un po’ di più le sue imprese. Senna sapeva descriversi come un super eroe quando vinceva con un cambio rotto, un motore mezzo morto e una sospensione fuori uso. Lui in Austria ha fatto qualcosa di simile, ma ha quasi fatto finta di niente. Si è limitato a un “Avevo paura, avevo davvero paura” sussurrato via radio. Ma, pur restando un bravo ragazzo prima o poi imparerà ad essere anche un po’ smargiasso. Gli manca solo quello.