(foto Ap)

Rafa Nadal, la ferocia di una leggenda. Il ritiro e l'epica di un fenomeno

Giulio Meotti

Il campione spagnolo, quello che Andre Agassi chiama “scherzo della natura”, gronda volontà di potenza. Ecco perché è il re fra tutti i principi del tennis (nonostante il forfait a Wimbledon)

Venerdì se la sarebbe dovuta giocare a Wimbledon con Nick Kyrgios, che fu il primo teenager a battere il tennista spagnolo che ha vinto di più nella storia. E questo australiano figlio di greci, tutto ferocia e trucismo, che offende e si agita, non potrebbe essere più diverso da Rafael Nadal, che ieri si è ritirato dopo un infortunio all’addome patito ai quarti di finale, due giorni fa.  Come si può giocare così a lungo, pensavano gli esperti già vent’anni fa, in modo così tendineo e selvaggio? Problemi al ginocchio e schiena a pezzi. Quando Nadal ha iniziato a fare sul serio, nel 2003, c’erano i classici infortuni: il gomito, la spalla, il polso. Poi sono cambiati i materiali, le racchette e le corde, e sono sorte patologie del tutto nuove. Tutto è più veloce e Nadal è il più veloce della storia del tennis. E sono arrivati i problemi alla colonna vertebrale, alle ginocchia, ai fianchi, fratture da stress al piede sinistro, dolori al ginocchio e alle articolazioni, tendiniti a volontà e ora anche il colosso dai piedi di argilla. 

Eppure, ogni volta, Nadal è tornato e si è reinventato. Roger Federer è elegante, fluido e cerebrale, un “intellettuale” (Djokovic è semplicemente “serbo”). Nadal è esplosivo e implacabile, il prodotto di una volontà feroce. Cresciuto come un piccolo selvaggio ereditando il nome dal nonno Rafael, il patriarca e direttore di orchestra sinfonica, uno zio centrocampista del Barcellona e della nazionale, a Nadal misero in mano la racchetta a quattro anni. Ambidestro. Oggi usa la mano destra per firmare autografi, salutare, giocare a golf e ai videogiochi. Parla ancora mallorquín, che è una variante del catalano e ancora più difficile da capire, a meno che tu non sia cresciuto sull’isola di Maiorca. Sognava di vincere un solo Open di Francia. Ne ha collezionati quattordici. Pochi atleti hanno mantenuto livelli di positività per così tanto tempo. “Gracias” è la sua parola preferita: ai raccattapalle, agli arbitri, ai giornalisti, agli sponsor, ai suoi rivali, al pubblico. Consola chi sconfigge in campo. Non gongola. Cola dal naso dall’inizio alla fine ed è il giocatore meno “da Wimbledon” della storia. Ma in campo è il più corretto. Uno degli zii, Toni Nadal, suo allenatore, l’impassibile in occhiali da sole e berretto con le braccia incrociate sul petto a cui si rivolgono le telecamere durante le partite di Nadal, gli disse che se mai lo avesse visto perdere le staffe in campo (lanciare racchette, maledire i giudici, urlare agli spettatori, deridere gli avversari), la loro relazione sarebbe finita all’istante. Essere il più grande su tre superfici di tennis  è come se una star dell’atletica vincesse per anni l’oro nei cento metri, negli ottocento e nella corsa a ostacoli.

Tre leggende del tennis –Sampras, McEnroe e Connors – non hanno mai dominato la terra battuta degli Open di Francia. Nadal è questo salto evolutivo, una nuova forma di vita che si materializza solo ogni poche generazioni e che rende tutti estatici. Andre Agassi lo ha definito uno “scherzo della natura”.  La ferocia del dritto rotante di Nadal è quantificabile. Sampras e Agassi sparavano a 1.800-1.900 giri. Federer a quattromila. Un colpo di Nadal gira a 4.900. Perché ogni partita, ogni colpo, ogni giorno sul campo, è come se fosse l’ultimo per lui. Nadal è il kamikaze del tennis, l’auto-immolazione in persona, l’atleta che si spinge verso la propria rovina, ipnotizzante e angosciante

Lo hanno chiamato “il cavernicolo”, ma non rende. Federer, che non sembra neanche sudare, cerca il punto da maestro. Nadal gronda potenza, non sbaglia mai, è martellante e sporco.  “Nel tennis devi uccidere l’altro”, ha scritto Philippe Bouin, il decano del commento tennistico francese. Non devi solo giocare meglio. A volte chi gioca meglio può perdere. Il tennis è uno sport di splendida crudeltà. E Nadal è quello che sa fare meglio. Uccidere l’avversario.  Prima o poi si ritirerà a Maiorca per andare a pescare con la sua barca. Ma intanto il bel niño, tutto fatica infernale e volontà di potenza, resta la meraviglia da guardare in uno sport in continuo mutamento e oggi in un limbo, tra il suo re sofferente e i suoi principi.

 

Articolo aggiornato alle 20 e 35 del 7 luglio

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  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.