(foto Ansa)

Il foglio sportivo

Il tennis del futuro è quello del presente

Giorgia Mecca

Aria di gioventù alle Atp Finals, le prime con un azzurro: Berrettini. Aspettando la Davis

Alexander Zverev si allena nel campo secondario del PalAlpitour mentre a pochi metri di distanza i lavori in corso continuano. Intorno a lui c’è un viavai di carrelli che si muovono, cartoni da scartare, personale che chiede indicazioni, allestimenti da completare e lui tira, tira, tira, come se ci fossero solo lui, la pallina e suo fratello Misha dall’altra parte della rete. Dall’altra parte, al Training Center dello Sporting, Andrej Rublev ci impiega circa tre minuti per sistemare l’overgrip della racchetta e se qualcuno chiede alla volontaria che si occupa dell’assistenza dei giocatori com’è il giocatore russo fuori dal campo, lei risponde “gentilissimo, educato, timido”. Hubert Kurkacz cammina davanti al palazzetto e quando passa davanti alla gigantografia che lo ritrae sorride, come a dire: “Sono proprio io”. A Torino, dove da domenica sono in programma le Atp Finals la fretta di finire in tempo aumenta l’adrenalina, corrono tutti, soltanto i campioni sembrano tranquilli, parlano poco, in campo con il loro staff si intendono a gesti o a occhiate, provano il campo, le luci sul Centrale, servizi e risposta, cinque minuti di palleggio più intenso e poi ci si siede in panchina. Ormai tutto quello che potevano fare lo hanno fatto. I giorni prima di un torneo sono i giorni dell’attesa che spesso coincide con la noia.

C’è aria di gioventù in questa edizione di Atp Finals, le prime made in Italy della storia, le prime con un azzurro schierato (Matteo Berrettini) e uno di riserva (Jannik Sinner). Non c’è Roger Federer, out per infortunio e out dalla top ten. Non c’è Rafa Nadal e non è una novità. Continua a esserci Novak Djokovic, il più anziano del gruppo. Il numero uno al mondo, nella stagione in cui avrebbe dovuto riscrivere la storia conquistando il Grande Slam e stabilendo il traguardo più importante, quello che manca a un tennista dai tempi di Rod Laver. Quello a cui nessuno, nemmeno i soliti due, si era mai avvicinato così tanto. Il serbo durante la finale degli Us Open ha fallito anziché confermarsi, mostrando che “la strategia per l’eccellenza fisica e mentale” (come recitava il sottotitolo della sua autobiografia “Il punto vincente”) a volte non basta.  

 

Inaugurazione del villaggio delle Atp Finals, a Torino (foto Ansa)

Ho chiesto molto a me stesso. A un certo punto mi sono sentito esausto. I tornei dello Slam richiedono uno stress che è più mentale che fisico, dopo la sconfitta di New York era giusto fermarsi”, ha detto il tennista nella conferenza stampa pretorneo. Djokovic, che ha vinto il master di fine anno cinque volte in carriera – di cui 4 di fila, dal 2012 al 2015 – nel 2015 ha smesso di vincere. “Ho vinto molte volte le Finals nella prima parte della carriera, ma oggi trovo che sia più difficile rendere al cento per cento ogni volta che scendo in campo”. È ancora il favorito ed è ancora il migliore al mondo, la concorrenza però esiste, è affamata e a differenza degli anni scorsi è consapevole. Daniil Medvedev sarà il primo a scendere in campo, domenica alle 14 contro Hubert Hurkacz, a seguire Berrettini sfiderà Alexander Zverev. “Giocare in casa è una bella emozione ma mette pressione addosso, è bello però anche avere pressione. Non sarà facile, è un torneo in cui si sfidano i migliori otto giocatori al mondo, io però faccio parte di questo gruppo, ricordarmelo mi potrà aiutare”, ha detto l’italiano, che insieme ai tre giocatori che scenderanno in campo domenica fa parte del gruppo rosso, contrapposto al gruppo verde formato da Djokovic, Tsitsipas, Ruud e Rublev. Otto partecipanti, tra cui quattro ex detentori del titolo, il tennis del futuro è finalmente diventato presente ed è una bella sensazione sapere che c’è vita oltre alla rivalità tra Federer e Nadal.

Novembre sarà il mese del tennis, oltre alle Atp Finals, sempre a Torino dal 26 è in programma la Coppa Davis, e l’incontro tra Italia e Stati Uniti. Per ricordarci meglio cosa è stata questa manifestazione e cosa non smetterà mai di essere, in occasione dei 45 anni dall’unica vittoria azzurra dell’insalatiera, quando la squadra formata da Panatta, Bertolucci, Pietrangeli e Barazzutti, sconfisse il boicottaggio e il Cile di Pinochet, su Sky Sport è disponibile il nuovo documentario firmato da Federico Buffa: “Davis ’76, l’altro cammino di Santiago”, oltre che cronaca sportiva di una delle vittorie più belle e dimenticate del nostro paese anche un viaggio sportivo e sentimentale nell’Italia di quegli anni irripetibili.