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Kyrgios, il bad boy del tennis mondiale

Giorgia Mecca

Il tennista australiano ha fatto arrabbiare tutti sprecando un talento immenso. Riuscirà mai a cambiare? Forse sì. Ora dice: “Rimanete positivi”

"È molto importante trovare un equilibrio tra l’allenamento e i Pokemon”. Luglio 2016, Nick Kyrgios, finalmente tra i primi venti giocatori al mondo, sempre più vicino al posto che merita il suo talento, sta giocando gli ottavi di finale contro Andy Murray: dopo un’ora di grande tennis, il primo set finisce 7-5 per lo scozzese. Forse, si convince qualcuno, l’australiano è diventato grande, ha preso esempio dai campioni e vuole diventare campione anche lui. È un pensiero che dura qualche cambio di campo, nel secondo set la voglia di soffrire è finita: il punteggio sul tabellone indica 6-1 a favore di Murray, peccato che i match di tennis non siano a tempo. John McEnroe in telecronaca sbraita: “Insomma è Wimbledon. Non esiste un posto migliore per giocarsi la propria chance”.

Kyrgios sta infangando la cattedrale, gli sforzi che centinaia di suoi colleghi hanno fatto per arrivare fino a lì. Il match finisce 7-5, 6-1 6-4, il pensiero di Kyrgios subito dopo, e forse addirittura prima della stretta di mano al suo avversario è: “Tra quanto tempo sarò in aeroporto?”.

 

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Poco dopo, in conferenza stampa ammetterà di aver passato tutta la mattina a giocare ai videogames. Nick Kyrgios è stato numero uno al mondo da junior, a quattordici anni era poco più che un bambino, ma guardandolo giocare, c’erano pochi dubbi, quello lì, con quella manualità e quella velocità di braccio innata, sarebbe arrivato lassù. Talentuosissimo, intelligente, col servizio sempre oltre i 200 chilometri orari, da piccolo mangiava schifezze (ancora oggi in realtà), era robusto e per questo correva peggio degli altri, per compensare la scarsa velocità doveva imparare a leggere il gioco meglio degli avversari, una dote che gli è rimasta. Eccolo nel 2014, un anno dopo il suo arrivo nel circuito maggiore, tra i professionisti, sconfiggere Rafa Nadal a Wimbledon. Dopo quel match, i titoli si sprecarono, fuoriclasse, astro nascente del tennis, grazie a lui questo sport sarebbe diventato un continuo show, come ai tempi di Nastase, McEnroee degli altri bad boys con la racchetta. È stato un vero peccato sentirgli dire che il tennis in realtà lo annoia da morire, che se fosse stato per lui avrebbe giocato a basket (è un grande tifoso dei Celtics e lo era di Kobe Bryant) ma si è dovuto accontentare di palline di dimensioni minori. 

“No way”, risponde a chi gli chiede di guardare un match del Roland Garros dall’inizio alla fine, nemmeno per idea. Oggi Nick Kyrgios, che compirà 27 anni il 27 aprile, è il numero 132 al mondo. “Il mio problema è che divento troppo morbido quando il gioco si fa duro”. È come se l’ex numero 13 al mondo, una volta sicuro di poter arrivare ovunque e di poter battere chiunque, avesse preso un manuale di tennis, gli esempi degli altri giocatori, e avesse deciso di comportarsi al contrario. Non ha un coach, è fuori allenamento da sempre e da sempre è convinto di non averne bisogno: “Se volessi vincere uno Slam, so che potrei farcela. Farei training due volte al giorno, andrei in palestra, mangerei meglio, eccetera eccetera. Ma questo è ciò che voglio? Non lo so. Sono comunque consapevole che, anche fuori forma, posso battere il cinquanta per cento degli iscritti nei tornei”. 

Quante parole, e quanto spettacolo è capace di regalare in campo, finché non ci si rende conto dello spreco. Un giorno Fabio Fognini ha ammesso che a fine carriera avrebbe avuto qualche rimpianto. Per Kyrgios forse ai rimpianti si aggiungeranno i rimorsi, per tutte le volte che non ha chiuso la bocca. Rispetto ai giocatori di tennis, maniacali, ossessivi, concentrati sul tennis e su nient’altro, l’australiano è un altro pianeta. Mentre gli altri scandiscono le giornate in base al tennis, a quaranta gradi sotto il sole, mentre subiscono interventi e riabilitazioni pur di tornare in campo, mentre lottano, si fanno male, respirano e dormono in funzione dei prossimi tornei mentre loro sono alla continua ricerca di metodi per migliorare, confrontano racchette, tensione delle corde, manici, lui alza le spalle e a chi glielo domanda risponde: “Non ho proprio idea di quale sia il diametro della mia racchetta”. E siccome non basta rincara la dose: “Il tennis non mi piace un granché. Non è questione di risultati, anche se avessi vinto qualche Slam, penserei la stessa cosa”. 

 

Sfacciato, irriverente, one man show, genio e sregolatezza con dolorosa propensione verso la sregolatezza, divertente spesso ma spesso anche maleducato, è stato capace di tutto in campo. Le racchette spaccate e rispaccate sono il minimo, Kyrgios è stato capace di gettare sedie dentro al campo, insultare arbitri e avversari; durante il torneo di Montreal, nel 2015, è stato capace di dire a un signore come Stan Wawrinka che la sua fidanzata lo aveva tradito. La scorsa estate a un altro signore come Casper Ruud ha detto che avrebbe preferito guardare un muro bianco piuttosto che una sua partita di tennis. Un giorno, dopo aver perso un match importante ha detto: “Scusate, mi sono distratto. Ho visto una bella ragazza tra il pubblico e ho perso la testa”. Dall’altra parte della rete c’era Roger Federer. Nick Kyrgios ricorda Ilie Nastase che salutava Arthur Ashe dicendogli, “Ciao Negroni”, che un giorno fece trovare allo scarmantico Adriano Panatta un gatto nero in spogliatoio. C’è però una differenza, Nastase è stato il numero uno al mondo, ha vinto Roland Garros e Us Open; Kyrgios è ancora a quota zero titoli in singolo, se si contano quelli importanti. Il 2022 per l’australiano sembra essere l’inizio di una nuova fase, Kyrgios ha pensato al ritiro e ora non ci pensa più, ha vinto gli Australian Open di doppio in coppia con Thanasi Kokkinakis, davanti al pubblico di casa. A Indian Wells, dopo aver vinto il primo turno contro Sebastian Baez ha detto di sentirsi giovane, fresco, in forma. Alle telecamere ha rivolto un messaggio che sembra essere incoraggiante, “rimani positivo”. Il 2022 potrebbe essere l’anno della rassegnazione, è vero, il tennis non è tutto, ma può essere abbastanza. Tanto vale farci pace.