Rafael Nadal (foto EPA)

cala il sipario?

Quello contro Djokovic rischia di essere l'ultimo tango a Parigi di Nadal

Luca Roberto

Il campione iberico ha annunciato che il quarto di finale contro il numero uno al mondo potrebbe essere la sua ultima partita al Roland Garros. La fine di un'epoca, mentre Alcaraz è già pronto a raccoglierne l'eredità

Mentre la retorica del tennis italiano più forte di sempre si affloscia sotto i colpi di fisici fragilini, perennemente in infermeria. Mentre i giovani più forti e talentuosi e pronti (in primo luogo, non infortunati) sono già altrove, in Spagna e in Danimarca sopra tutti (altro che Sinner, non diremo nulla del fenomeno Alcaraz, che parla per sè. Ma era ipotizzabile che anche il 18enne Rune fosse già più avanti come preparazione dell'altoatesino?). Mentre insomma questa stagione fantastica dei Fab Three si avvicina progressivamente al termine, sperando si prolunghi ancora per qualche annetto, e già però si intravedono bacilli di sostituzione, oggi potrebbe essere un giorno paragonabile alla caduta di Costantinopoli. Perché a Parigi Rafael Nadal potrebbe attraversare il campo, intervallare i colpi con le sue mossette e fisime e tocchetti di mutanda, raggiungere il fondo campo con il solito scatto felino, ululare qualche vamos dopo scambio interminabile e passante insperato, per l'ultima dannata volta. Almeno sulla terra rossa transalpina. E per realizzare che è davvero un fatto tragico (sportivamente), basta elencare una manciata di dati.

Sui campi del Roland Garros il maiorchino ha vinto 109 partite, ne ha perse tre. In termini di set: 316 a 29. A livello di soldi: oltre 24 milioni di dollari di montepremi. In sintesti: tredici titoli, più di chiunque altro nella storia. Il primo all'età di 19 anni, nel 2005. L'ultimo nel 2020, a 34. Tanto che più che le vittorie. insomma, ci si ricorda le sconfitte: un quarto turno con l'imprevedibile svedese tutto servizio e dritto Robin Soderling. E poi un quarto di finale e una semifinale con Djokovic, quella memorabile dello scorso anno. E se il tennis, più degli altri sport, finisce per accanirsi sulle questioni di destino, gioca con le macchinazioni e i ricorsi rimestando nel passato, sappiate che il prossimo avversario di Rafa è proprio il serbo numero uno al mondo. Quello che dopo aver mancato l'appuntamento con l'Australia, trattenuto alla frontiera e poi espulso dopo processo sommario, adesso ha come obiettivo di raggiungere Nadal in testa alla classifica dei tornei dello slam vinti: 21. Lasciando a Federer il ruolo ingrato di chi è rimasto indietro, pur essendo partito prima.

Saranno uno di fronte all'altro per la cinquantanovesima occasione, la decima solo tra i campi della periferia parigina. E anche se Rafa ha detto "ce la metterò tutta per cercare di vincere", ha anche riconosciuto, in questo scampolo di stagione che si era aperta come meglio non avrebbe potuto sperare e che però sulla superficie prediletta gli ha lasciato le briciole, che questa "potrebbe essere la mia ultima partita a Parigi". Non che ci sia stato un preventivo annuncio di ritiro, magari a fine stagione. dopo vent'anni di attività. Ma le parole pronunciate a Roma dopo la disfatta con Shapovalov erano state piuttosto sibilline: "Non ho un nuovo infortunio, convivo con gli infortuni da vent'anni". Era stato quel modo un po' sconfortato, molto poco nadaliano, a segnalare un campanello d'allarme negli appassionati di racchetta. "Sta pensando davvero di mollare?". 

Così nei primi quattro turni di questa edizione lo si è visto muoversi con passo inusitatamente compassato. Un dritto e un rovescio meno esplosivi, forse, ma con la ferocia ardente di sempre, alla caccia di ogni singola pallina che lambisse le righe e ne determinasse, eventualmente, una sottomissione subitanea. Perché a Nadal non è mai piaciuto perdere anche solo un quindici, è il segreto del suo successo, da ragazzino come da adulto. Al challenger di Barletta (dove vinse nel 2003 in finale contro Albert Portas) come sul Philippe Chatrier. Agli ottavi ha dovuto anche affrontare un carico emotivo non da poco che in parte lo relegava già nel cantuccio dell'ex giocatore: aveva di fronte il canadese Felix Auger-Aliassime, che da qualche anno è seguito da suo zio Toni, il coach che lo ha instradato al tennis, lo ha accompagnato in giro per il mondo e che per primo gli ha consigliato di giocare mancino (è naturalmente ambidestro), per avvantaggiarsi sugli avversari. Adesso ha preferito dedicarsi ad altri, per coltivare eredità alternative. Un altro segnale di passaggio di testimone.

Uno come Nadal, l'arrotino spagnolo, come l'ha definito Gianni Clerici. non ci sarà mai più. Nessuno meglio dei parigini può saperlo. Speriamo solo che questo congedo evocato alla fine non ci sia. E non perché si deve augurare a Djokovic la sconfitta. Anche perché a raccoglierne l'eredità, nell'eventualità, ci sarebbe pur sempre quel Carlos Alcaraz che ha già dato prova di essere pronto ad accumulare decine di slam (fortunati, questi spagnoli). L'auspicio è che come ogni anno anche il prossimo Rafa prenda la parola in mezzo al campo centrale per dire a tutti: "Non ve lo aspettavate, ma sono tornato. Perché questa è casa mia". 

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