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Agli Australian Open Nadal si gioca il titolo di tennista più vincente della storia

Giorgia Mecca

Non è bastato il servizio di Matteo Berettini, i turni di battuta vinti a zero, dieci anni di differenza tra i due, la carriera in ascesa dell'azzurro contro i minuti contati del suo avversario, lo spagnolo è ancora troppo. Quei venti trofei in bacheca sono un macigno, significano vecchiaia e ossa rotte, ma qualcosa insegnano

Pieno di cerotti, sudato dalla testa ai piedi, due ore e 41 minuti di tic e di rincorse, la maglietta viola appiccicata addosso, la testa nascosta nel borsone per nascondere le lacrime, trentacinque anni e sentirli tutti, dal primo all’ultimo, comprese le 1246 partite giocate nel circuito. “Ho saputo poco prima del match che avrebbero chiuso il tetto. Tutti sanno che preferisco giocare all’aperto, ma fino a un mese e mezzo fa non sapevo nemmeno se avrei mai più messo un piede in campo. Di che cosa mi dovrei lamentare? Dopo la mia vittoria del 2009, non avrei mai pensato di poter avere un’altra chance qui, nel 2022. Mi sento di nuovo in vita”. Rafa Nadal è in finale agli Australian Open. Diciassette anni dopo la sua prima vittoria in uno Slam, avvenuta al Roland Garros nel 2005, lo spagnolo è alla ricerca del ventunesimo titolo major, quello che gli permetterebbe di diventare il tennista più vincente della storia, come lui nessuno mai. Rieccolo, dunque, Nadal che con le mani si nasconde gli occhi pieni di lacrime e di una gioia che si merita tutta. Pochi giorni prima della trasferta non pensava di riuscire a partire per Melbourne, non si sentiva in forma: troppo tempo fuori dal campo, troppo dolore cronico addosso, soprattutto troppe poche vittorie, Barcellona, Roma e nient’altro. Tutto il resto dell’anno è stata una delusione. La sconfitta contro Novak Djokovic in semifinale agli Open di Francia, casa sua, sulla terra rossa che sembrava fosse di sua proprietà e per tredici edizioni del torneo lo è stata, il forfait da Wimbledon e da Tokyo, gli annunci su Instagram sempre più ricorrenti: “Il piede continua a farmi male, non giocherò a Toronto”, “La mia stagione è finita, non sono in grado di competere”. Le stampelle, la riabilitazione e l’uscita di scena mentre agli Us Open i suoi colleghi più giovani alzavano la testa e Novak Djokovic, il numero uno al mondo, cercava il distacco definitivo dai due mostri sacri e la conquista del Grande Slam. E poi le Atp Finals senza di lui, il rientro al Mubadala Tennis Championship, il torneo esibizione di Abu Dhabi, due partite, due sconfitte e l’ammissione: è tutto molto difficile e bisogna accettarlo. E poi ancora il Covid e la domanda che sorge spontanea: “Ma chi te lo fa fare? ma come ti sei ridotto?”.

 

Nel 2022 Rafa Nadal ha giocato dieci partite vincendole tutte quante. L’ultima vittoria l’ha conquistata contro Matteo Berrettini, che da lunedì raggiungerà la sua miglior classifica, la sesta posizione nel ranking. Lo spagnolo ha raggiunto la sua ventinovesima finale slam dopo due ore e cinquantcinque minuti e quattro set: 6-3, 6-2, 3-6, 6-3. Non è bastato il servizio dell’azzurro, la sua media al servizio che ha sfiorato i duecento chilometri orari, i turni di battuta vinti a zero, dieci anni di differenza tra i due, la carriera in ascesa di Berrettini contro i minuti contati del suo avversario. Nadal è ancora troppo: “I grandi campioni come lui, ti tolgono sicurezza, sanno dove farti male e insistono Basta un attimo per perdere il filo della partita, e una volta che l’hai perso non lo ritrovi più”.

Claudio Zimaglia, fisioterapista di Jannik Sinner e parte del team dell’altoatesino da sempre, commenta così la resistenza di Nadal e dei suoi colleghi, il motivo per cui per la settantesima volta in settantuno tornei uno tra i Fab3 è in finale in uno Slam. Venti trofei in bacheca sono un macigno, significano vecchiaia e ossa rotte, ma qualcosa insegnano, qualcosa che i giovani, forse, non sanno ancora. “Riccardo Piatti ha sempre detto che a Jannik sarebbero servite 150 partite per raggiungere il livello dei primi tre giocatori al mondo. Per adesso siamo a quota 120, manca ancora qualche match”, continua Zimaglia, sempre presente nel box di Sinner che in Australia ha raggiunto per la seconda volta in carriera i quarti di finale, dove ha perso contro Stefanos Tsitsipas. Non è solo un problema di mentalità, scendere in campo contro un passato che incute rispetto e timore: “Berrettini a livello mentale c’è, ha dimostrato di avere una grande personalità e di non aver paura di scendere in campo contro i migliori al mondo”, spiega Luca Boschetto, telecronista di Sky Sport. “A mio parere però Nadal è più atleta. Matteo è già migliorato molto nel rovescio, ma contro certi avversari non basta. Detto questo ha conquistato un’altra semifinale Slam, e se dovesse scalare ancora la classifica e diventare top 5, io credo che tutti dovremmo fargli un bell’inchino”.

 

Berrettini ha giocato contro il miglior Nadal che si sia visto negli ultimi mesi, un giocatore tatticamente perfetto, aggrappato ai match con tutta l’energia che gli è rimasta. “Bisogna sapere soffrire e combattere sempre. Questo è l’unico modo che conosco per essere ancora qui”, ha detto Nadal a fine match mentre dalle tribune una tifosa spagnola sventolava un cartellone con scritto: “Rafa, tu sei il mio per sempre”. Domenica giocherà la sua ventinovesima finale Slam, a più di seimila giorni di distanza dalla prima, un record. L’ultima volta che ha giocato una finale nella Rod Laver Arena era il 2017 e di fronte a lui c’era Roger Federer, il suo avversario di sempre. Quell’anno, dopo aver battuto Raonic ai quarti di finale aveva detto: “Ho avuto una grande carriera, ho vinto tanto e ho tanto sofferto. Per questo è ancora più bello essere di nuovo qui”. Cinque anni dopo, che corrispondono a una piccola eternità per uno sportivo che abbia superato i trent’anni, la frase pronunciata da Nadal è la stessa. Domenica affronterà Daniil Medvedev per fare la storia ancora una volta. Il Covid, le stampelle, la fine a portata di mano, i cerotti, il sangue e il sudore, il nome di Nadal è ancora leggenda.

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