Matteo Berrettini dopo la vittoria al Queen's, per il secondo anno di fila (foto EPA)

Il foglio sportivo

Perché Berrettini quest'anno può vincere Wimbledon

Giorgia Mecca

Sull’erba di Stoccarda e del Queen’s ha ritrovato forma e fiducia. E il sorteggio gli evita Djokovic fino alla finale

C’è una frase che Matteo Berrettini ha scritto nel suo contributo al libro del mental coach Stefano Massari “O vinci o impari”, pubblicato da Solferino: “Mi dicono che a volte crediamo di essere fermi e invece stiamo solo prendendo la rincorsa”. Il libro, pubblicato nel 2020 si riferisce a uno dei primi infortuni nella carriera del tennista, un osso del ginocchio incrinato. Non aveva ancora vinto niente e già conviveva con l’incombenza degli infortuni, quando il tennis va avanti, proclama nuovi campioni e tu sei costretto a restare a guardare. Berrettini conosce a memoria il suono che riproduce la macchina delle risonanze magnetiche, conosce le pause, il rumore assordante e improvviso, ha passato parecchio tempo lì dentro, costretto a fare i conti con un fisico fragile, che sembra farlo apposta a presentare il conto subito dopo i momenti di gloria, bastone e carota, un servizio a 205 chilometri orari in cambio di addominali lesionati, che a ventisei anni non torneranno intatti mai più. A ogni successo corrisponde un crac, un trauma sottopelle che non vede l’ora di emergere e di farsi notare; il 2021 di Berrettini si può riassumere in due immagini: il sorriso con il vassoio d’argento in mano dopo la finale di Wimbledon, le lacrime sdraiato in terra durante le Atp Finals, quando il suo corpo lo ha costretto a un altro stop.

A fine aprile, mentre al Foro Italico stava per cominciare la conferenza di presentazione degli Internazionali d’Italia, a chi chiedeva informazioni su Berrettini e sulle probabilità che potesse giocare il Roland Garros, Umberto Rianna, uno dei due coach insieme a Vincenzo Santopadre, rispondeva: “Prima deve riuscire a tenere in mano la racchetta almeno una volta”. L’azzurro era stato operato il mese prima, più che ottimismo si percepiva preoccupazione, anche le domande che lo riguardavano sembravano diverse: non più quando guarirà, ma molto più semplicemente: guarirà?

 

Matteo Berrettini è guarito il 12 giugno scorso, quando dopo quasi tre mesi di stop ha conquistato il torneo di Stoccarda. Non si sentiva sicuro di niente, arrivato in Germania senza partite sulle gambe e con una cicatrice in più sulla mano, al suo staff ha soltanto detto: “Sarà dura”. Da quel momento ha vinto nove partite, riconfermandosi campione anche al Queen’s, il torneo in cui l’anno scorso ci ha fatto capire che yes we can, il tennis italiano può vincere ovunque, anche sull’erba inglese. Nell’ansia del futuro ci dimentichiamo il presente, la next gen azzurra è certamente una promessa, Berrettini però, quando riesce a dimenticarsi del rumore che fa la risonanza magnetica, molto più concretamente, è la bandiera azzurra che dal 2019 arriva in fondo ai tornei del Grande Slam.

Prima di lui, un italiano che riusciva ad accedere alla seconda settimana di uno Slam faceva notizia, attirava l’attenzione. Il nostro numero uno ha cambiato la prospettiva, la percezione che il mondo aveva del nostro tennis, che noi avevamo del nostro tennis. Non più una vita da mediano, sudore e terra rossa e piedi fuori dal campo e finché ne hai stai lì, ma una carriera tutta giocata in attacco, servizio e dritto. Red clay ma non solo, l’erba inglese sa essere gustosa anche per i romani. Ha lavorato sottotraccia, un giorno quando era ancora piccolo Adriano Panatta, guardandolo giocare, ha detto ai genitori, “ma sapete che vostro figlio è molto forte?”.  Per il resto mai una frase fuori posto, una carriera costruita step by step, torneo di provincia su torneo di provincia, senza il predestinato appiccicato addosso, un aggettivo che può essere un fardello ma può anche aiutarti a non perdere la strada, a non farti massacrare dai dubbi.

Nel settembre del 2019 la prima semifinale, un traguardo al quale forse credevano soltanto lui e il suo coach Vincenzo Santopadre, che lo segue dal 2011 ed è convinto che la fiducia dei ragazzi che si seguono dipende dalla fiducia che sei in grado di trasmettere loro. Dopo l’infortunio al ginocchio, il primo della lista, Berrettini non era più sicuro di essere un giocatore di tennis, venti minuti di allenamento lo sfiancavano, il morale era sotto i piedi. Santopadre se ne è accorto, durante una sessione di allenamento lo prese da parte e gli disse, “ma lo sai che tiri più forte di prima?”. Vero oppure no erano le parole di cui il ragazzo aveva bisogno per cominciare a colpire la palla più forte di prima. Il libro in cui si parla delle rincorse cita come miglior risultato in carriera la semifinale raggiunta dall’italiano agli Us Open nel 2019. Si pensava fosse il non plus ultra, non avevamo visto niente. Da allora almeno quarti di finale in tutti i tornei dello Slam, semifinale a New York, finale a Londra. Mentre in Italia si parlava di futuro, lui ricostruiva il presente. Infortunio dopo infortunio, dolore da guarire su dolore da guarire, l’anno scorso nei tornei degli Slam ha perso soltanto contro Novak Djokovic, affamato e alla ricerca del Grande Slam.

Da lunedì comincia il torneo di Wimbledon,  Berrettini che ha evitato nel sorteggio il lato di Djokovic, ha inaugurato il Centrale allenandosi con Nadal, in un duello tra giovani e vecchi martoriati. Ci sono entrambi, per meriti sportivi, nella lista dei favoriti alla vittoria dei Championships. Berrettini ha detto: “Non devo nascondermi dietro un dito, l’obiettivo è quello di fare un torneo importante”. Quando pensavamo fosse fermo ad ascoltare musica rap lui stava solo prendendo un’altra delle sue rincorse. 

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