(foto LaPresse)

Il foglio sportivo

Zaniolo, il re senza corona di Roma

Giuseppe Pastore

Dovrebbe avere la città ai suoi piedi, invece è sulla lista di partenza. E resta un incompiuto

Il futuro incerto e l’orizzonte nuvoloso di Nicolò Zaniolo stanno racchiusi negli ultimi cinque minuti di Roma-Genoa dello scorso 5 febbraio. A tre secondi dal 90esimo il risultato è ancora 0-0 quando dal limite dell’area Zaniolo segna un gol magnifico, concentrato di classe, tecnica e potenza celebrato – giustamente – con una corsa senza maglietta sotto la Sud. È il suo primo gol all’Olimpico in Serie A dopo oltre due anni; in tribuna festeggia anche il coetaneo Damiano David, il cantante dei Måneskin che come Zaniolo è bello, alto, ricco, corteggiato, naturalmente predisposto ai riflettori. Ma è tutto inutile: il Var rileva un precedente fallo di Abraham – uno di quei famigerati step on foot di cui è costellata la seconda parte dello scorso campionato – e l’arbitro Abisso non può far altro che annullare. Al colmo della frustrazione, due minuti dopo Zaniolo si rivolge all’arbitro con la faccia di chi cerca un appiglio per farsi buttare fuori: accontentato. A fine partita, pubblica su Instagram sei foto della sua festa mesta: “Possono cancellare tutto, ma questo rimarrà per sempre impresso nella mia mente”. Prolungare l’esultanza per un gol annullato è un atto molto romanista: il risultato è un optional, la realtà è manipolabile, contano solo la fede, il cuore, le emozioni. Amore tossico.

Secondo questo romanismo da cartolina, ora che ha messo la firma sotto il primo trofeo vinto dalla sua squadra in 14 anni, Zaniolo dovrebbe essere il re della città, una specie di nuovo Tritone come l’omonima fontana in Piazza Barberini, incatenato nottetempo al letto di Trigoria col terrore che possa andarsene all’estero o peggio ancora a Torino o Milano. Invece niente di tutto questo. L’unico che ha facoltà di atteggiarsi a imperatore è José Mourinho; ed è come se Mourinho, oltre alla sospirata Coppa, avesse donato alla Roma un nuovo cinismo, per cui la rete al Feyenoord non è il coronamento di una favola che legherà Zaniolo in giallorosso vita natural durante bensì una normale opportunità di guadagno o semplicemente di disfarsi di un’anatra zoppa, un punto interrogativo ambulante sotto il profilo fisico, psicologico e tattico, confidando che il gol in finale confonda i potenziali acquirenti. È altresì vero che quest'impressione è condivisa anche al di là del Raccordo Anulare: fuori dalla sede di viale Tolstoj non c’è la fila che – sospettiamo – ci sarebbe se sul mercato fossero finiti Pellegrini o Abraham, gli altri due pezzi grossi della collezione AS Roma 2021-22. Anzi, alla fine della fiera pare che l’unica trattativa in piedi sia quella con il Milan, che cerca un esterno destro ma contemporaneamente sta flirtando con almeno altri due pari ruolo, il belga De Ketelaere e il solito Berardi che del resto – pur nella bambagia di Sassuolo – quest’anno ha messo a referto 15 gol e 14 assist, a fronte dei 2 gol e 2 assist dell’ondivago Nicolò.

Così Zaniolo, che trasuda esuberanza in ogni fibra muscolare, è costretto dalle circostanze a farsi piccino, in attesa di discorsi più grandi di lui. Queste settimane lo hanno tolto di mezzo dal campo, senza nemmeno la trascurabile vetrina della Nations League, e lo hanno messo al centro di un estenuante gioco da tavolo. Tu quanto lo valuti? E tu quanto offri? E se ci infiliamo un Rebic o un Saelemaekers? Non riuscite a metterci anche Pobega? Uno stillicidio di minutaglie ben diverso dall’aura da nuovo Messia, irresistibile oggetto del desiderio, “Zaniolo a tutti i costi” che si portava a spasso fino alla sera del 12 gennaio 2020, quando la sua carriera prese la prima deviazione sgradevole in fondo a un’ubriacante discesa in stile Ronaldo “quello vero”. Ma Zaniolo è rotto? No, nell’ultimo campionato ha saltato per infortunio solo 4 partite su 38. Zaniolo è scarso? Per niente, non si diventa per caso il primo italiano a segnare in una finale europea dopo 15 anni. Zaniolo è stupido? Non ci pare, almeno non più di altri, e solitamente uno spogliatoio di calcio non è l’aula magna della Normale di Pisa. E allora cosa?

Non vogliamo soffermarci sugli abissi del trash che Zaniolo inconsapevolmente incoraggia da quando è diventato Zaniolo, tanto sapete tutti di cosa stiamo parlando. È fuori luogo anche il classico cliché dell’ambiente romano che “rovina i giocatori”: ci sono fior di talenti che si sono auto-distrutti anche senza mai mettere piede nella Capitale e il pensiero corre inevitabilmente a Mario Balotelli, di cui tra qualche settimana ricorrerà il decennale della tonante doppietta alla Germania agli Europei 2012. Però, accidenti, in questo caso tutto si tiene. Le riserve psicologiche sul ragazzo trovano sponda in quelle sul fisico e si fondono nell’equivoco tattico, comprensibile per un ragazzo di 22 anni a cui Mourinho non ha certo reso un favore, sacrificandolo per esigenze superiori in uno sfiancante ruolo da seconda punta molto lontana dalla porta. In un calcio di cui si denuncia ogni giorno la cecità preventiva verso i giovani, una potenziale gallina dalle uova d’oro come Zaniolo è circondata dai sospetti di tutti gli addetti ai lavori. Non risultano offerte dall’estero: evidentemente la tripletta al Bodo Glimt non ha bucato il video. Ormai sembra stimarlo pochino persino colui che ha avuto il coraggio di convocarlo in Nazionale prima che esordisse nei professionisti. Peraltro Zaniolo somiglia nel tormento e la scontrosità proprio al primissimo Mancini, che poi è sempre stato il Mancini di sempre, realizzato davvero solo a patto di avere una corte ai suoi piedi come alla Sampdoria.

Così passano i giorni, le settimane, un’altra estate qui, e un’altra volta qui. E Zaniolo rimane fermo, una fuga bruciante e un successivo dolorino, una tripletta e subito dopo una panchina, come “chi vive all’incrocio dei venti ed è bruciato vivo”, direbbe Francesco De Gregori. Cosparso del vischio di un’infinita adolescenza.

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