Il Foglio sportivo
Il Milan è arrivato alla chiusura del cerchio
Dall’Atalanta all’Atalanta: corsi e ricorsi del Diavolo con vista sullo scudetto da strappare all’Inter
Negli ultimi minuti di “È stata la mano di Dio”, il film di Paolo Sorrentino ricoperto qualche giorno fa da una cascata di David di Donatello, il giovane protagonista Fabietto viene duramente rampognato dal suo mentore Antonio Capuano: “Alla fine torni sempre a te”. Essere egoriferiti e non alzare mai la testa dal proprio ombelico è un difetto piuttosto comune in chi fa arte e va a braccetto con il narcisismo, la presunzione che a tutto il mondo interessino i fatti nostri. Ma un minimo di autoreferenzialità è necessaria e forse anche doverosa in questo Milan oggi alle prese con il peso e le conseguenze di un passato gigantesco che obbliga ai confronti e al gioco di specchi con la storia. Alcune corrispondenze sono clamorose, degne di un romanzo di Calvino, e fanno pensare che tutto il caravanserraglio di figure barbine, giocatori improbabili, allenatori inesperti e proprietari misteriosi degli ultimi dieci anni sia servito per arrivare proprio qui, a questi ultimi 180 minuti necessari per chiudere un cerchio spesso penoso e avvilente.
Dunque Milan-Atalanta e Sassuolo-Milan, ovvero le ultime due partite (gennaio 2014) della gestione di Massimiliano Allegri, l’ultimo allenatore del Milan ad aver vinto uno scudetto. Proprio a quei giorni risale anche l’ultima vittoria a San Siro contro l’Atalanta, impronosticabile bestia rosso-nera di questi tempi di bassa marea: per dare l’idea del tempo che è passato, fu un 3-0 firmato dall’ultimo declinante Kakà e da un giovane virgulto di nome Bryan Cristante presto trasmigrato verso altri lidi. Sei giorni dopo quel che restava di una squadra sbrindellata, popolata di Emanuelson, Honda, Robinho e Balotelli, scomparve nella nebbia di Reggio Emilia sotto i colpi di Mimmo Berardi, primo e tuttora unico giocatore della storia della Serie A capace di segnare 4 gol al Milan. A quel punto la rampante Barbara Berlusconi pretese e ottenne la testa di Max, ormai isolato nella guerra tra bande che si combatteva in seno alla società, e lo sostituì col dilettante Seedorf. Anni terribili in cui il Milan mancò la qualificazione alle coppe europee per tre stagioni di fila: nel 2016 all’Olimpico di Roma, a celebrarne la sconfitta in finale di Coppa Italia contro la Juventus, c’era una sparuta rappresentanza di tifosi del Sassuolo (!) che festeggiava l’ingresso in Europa League al posto del povero Diavolo.
Brusco flash-forward a dicembre 2019, quando a tre giorni da Natale il Milan chiude in bruttezza il decennio più difficile del suo dopoguerra con l’estrema mortificazione di uno 0-5 a Bergamo, di domenica mattina, con Gasperini invitato a saltellare dalla curva atalantina in visibilio – e lui saltella. Il povero Donnarumma piange calde lagrime. Novello dottor House, Pioli ausculta il cuore dei vari Musacchio, Suso, Piatek, Ricardo Rodriguez e ci sente al massimo la segreteria telefonica: si toglieranno tutti di mezzo nel giro di qualche settimana, in nome di un repulisti non più procrastinabile. In quello che sembra un apparente controsenso dettato dalla disperazione, la prima pietra del nuovo Milan è il Vecchione Zlatan Ibrahimovic sedotto e abbandonato dal Napoli e ben felice di ergersi a totem in uno spogliatoio drammaticamente privo di personalità in cui il futuro capitano Davide Calabria, la sera stessa della disfatta di Bergamo, dà ingenuamente in pasto ai social le immagini della propria festa di compleanno, senza vederci nulla di male: il video finisce su Instagram e aggiunge bufera a bufera.
Poi vengono il Covid e il lockdown, che piombano tra capo e collo di una società intenta a immaginare l’ennesimo ribaltone, ammaliato dalle sirene di una rivoluzione teutonica con a capo Ralf Rangnick, guru della Red Bull che sta portando il Lipsia in semifinale di Champions. È tutto fatto, con fortissima collera dei “vecchi” Boban e Maldini (vecchi per modo di dire, sono arrivati pochi mesi prima) che hanno già chiuso la valigia; ma l’improvvisa e inspiegabile sgasata estiva del Milan spiazza tutti e induce Gazidis a riconsiderare ciò che sembrava scritto nella pietra. Rangnick viene accantonato ufficialmente negli stessi minuti in cui il Milan sta giocando a Reggio Emilia e vincendo in casa del Sassuolo con una doppietta di Ibrahimovic: le agenzie iniziano a battere la notizia del rinnovo di Pioli a margine dei gol dello svedese, sinceramente stupito della buona novella.
Nei passaggi più ispirati del grande Romanzo Milanista ogni pagina è scritta nella lingua della memoria. Una delle stelle del Verona, colui che domenica sera ha avviato involontariamente l’azione del pareggio di Tonali, è quel Gianluca Caprari che aveva esordito in Serie A l'8 maggio 2011 in Roma-Milan 0-0, la sera dell’ultimo scudetto del Milan berlusconiano. Il miglior marcatore dell’Atalanta è Mario Pasalic, l’uomo che ha calciato il pallone dell’ultimo trofeo del Milan, trasformando il rigore decisivo nella Supercoppa italiana 2016. Contro Atalanta e Sassuolo il Milan ha segnato i due gol più veloci della gestione-Pioli, Davide Calabria dopo 28 secondi e Rafa Leao dopo 6”76, reti-simbolo degli innumerevoli conigli dal cilindro estratti in questi due anni. Contro l’Atalanta, l’anno scorso, il Milan è tornato finalmente a centrare un obiettivo stagionale, la qualificazione in Champions League sfuggita per otto anni di fila. Reggio Emilia è la provincia dove sorge la casa di uno dei Padri della Patria rossonera, quel Carlo Ancelotti impegnato in queste ore nella preparazione dell’ennesima finale di Champions: per contarle tutte serve una mano intera. Alla fine il Milan torna sempre a sé stesso: è stata la mano del Diavolo?
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