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Il Foglio sportivo

Il nuovo volto del Milan di Pioli

Umberto Zapelloni

Anche il tecnico rossonero ormai merita il suo personale neologismo. Così l'allenatore ha cancellato cholismo e sarrismo e ha trasformato una squadra alla deriva in una formazione pronta a vincere 

Presto la Treccani dovrà aggiornarsi. Perché non è più possibile ignorare il piolismo se tra le tue pagine hai trovato spazio per cholismo, contismo e sarrismo. Quello che ha costruito Stefano Pioli al Milan ormai merita il suo personalissimo neologismo. Indipendentemente da come andrà a finire questa stagione, l’allenatore  ormai ha segnato con le sue scelte, il suo gioco e i suoi atteggiamenti la storia rossonera.

Il piolismo oggi è sicuramente più alla moda del cholismo e del sarrismo che dopo essersi impantanato a Torino non è riuscito a ripartire a Roma. Pioli fa giocare bene la sua squadra, fa crescere i suoi giovani, riesce addirittura a gestire nel miglior modo possibile Zlatan Ibrahimovic, uno che di forte non ha soltanto la fibra. L’era di Pioli è cominciata proprio con l’arrivo di Ibra dopo la sconfitta per 5-0 di Bergamo del 22 dicembre 2019 che pareva aver messo la pietra tombale alle ambizioni di un allenatore che a Milano era già uscito scottato dall’esperienza nerazzurra. Ibrahimovic è stato la stampella su cui Pioli si è appoggiato per rialzarsi e riprendere il cammino, ma dopo il lockdown e nel calcio a spettatori zero che abbiamo dovuto vivere, Pioli ha potuto gettare via quella stampella. Pioli non ha più avuto bisogno di Ibra per trasmettere alla sua squadra l’energia necessaria per trasformarsi da baco a farfalla con il vantaggio di non avere all’orizzonte una vita breve, ma di poter programmare un futuro ancora più colorato.

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Quello che era raccontato come un normalizzatore, un uomo perfetto per rimettere in ordine la casa, ma al quale non si potevamo chiedere di cambiare l’arredamento e di modernizzare i locali, ha cambiato pelle. Il geometra è diventato architetto, con tutto il rispetto e la stima per la categoria dei geometri. Un architetto con le fondamenta giuste per costruire un grattacielo. Il suo bosco verticale non mette in mostra alberi sempre verdi, ma giocatori che stanno diventando campioni. Li ha presi piantine in vivaio e li ha fatti crescere con un pollice sorprendentemente verde. Tanto che oggi può anche dire che per quei giovani è arrivato il momento di raccogliere dei risultati, quelli sono alberi da frutto e i frutti stanno per diventare maturi. Al netto di Ibra e Giroud, il Milan schiera spesso la squadra più giovane del campionato, ma ormai quei giovani non hanno più denti da latte. Hanno imparato a mordere, a lasciare il segno.

Theo Hernandez (1997), Rafael Leao (1999) e Sandro Tonali (2000) possono spaccare il mondo. Theo può diventare uno dei migliori laterali d’Europa, Tonali può diventare il play azzurro dei prossimi dieci anni e Leao, sì tenetevi forte, può diventare il miglior giocatore del nostro campionato, il crack che l’Europa verrà a cercare per portarcelo via. Ormai segna anche quando vuole crossare al centro... E se quei tre sono cresciuti esponenzialmente il merito è del loro talento, ma anche di chi li ha messi nell’ambiente ideale per non disperderlo. Pioli paragona Leao a Henry, ma aggiunge che deve impegnarsi in allenamento come in partita; dice che Tonali è il miglior giovane che abbia mai allenato, ma ha ancora margini di crescita sia in fase difensiva che offensiva; manda a dire a Theo che non deve accontentarsi perché può diventare uno dei migliori terzini del mondo. Insomma sa usare il bastone e la carota. Fa vedere la caramella, ma tiene pronto lo sberlone.

Dopo la vittoria con la Roma aveva detto “Dobbiamo smettere di parlare di giovane età, sono giovani ma stanno mettendo grande esperienza con situazioni che hanno accelerato la crescita. Siamo ambiziosi, dobbiamo giocare con continuità”. Toglie alibi. L’età non potrà più esserlo. La squadra è cresciuta, ha messo esperienza nel serbatoio. Adesso è arrivato il momento di abbinare la freschezza della gioventù alla saggezza di chi ha qualche annetto in più sulle spalle. Non saranno più ammessi blackout, cali di ritmo e soprattutto di attenzione. La crescita definitiva si vedrà nella continuità dei risultati perché perdere punti per una leggerezza sarebbe un peccato mortale contro un Inter che viaggia spedita, dote di una rosa più profonda, di un peso specifico ancora superiore. Il Milan di Pioli ha bisogno di viaggiare sempre ad alta velocità per far male agli avversari e non farsi male da solo. Non avere l’Europa può diventare un vantaggio soprattutto perché il lavoro di Pioli porta i risultati migliori dopo settimane di allenamenti tranquilli. Pioli sa essere maestro, non regala conferenze stampa da fuochi artificiali, ha fatto della pacatezza il suo verbo, ma evidentemente sa toccare le corde giuste quando parla alla squadra che poi è quello che conta. Mourinho ha detto di esser contento di aver detto di no al Milan qualche anno fa. Probabilmente oggi sono molto più contenti i tifosi del Milan. Così come sono contenti che Maldini abbia convinto la proprietà ad abbandonare la pista Rangnik per seguire il piolismo che adesso può davvero finire sui dizionari.

Per Pioli è arrivato il tempo di “volare via senza ali e senza rete” come la Donna Cannone della sua canzone preferita. Butterà questo suo enorme cuore tra le stelle un giorno e chissà che possa trovarci qualcosa di prezioso. Hanno provato a farlo saltare riempiendogli la strada di buche sotto forma di infortuni. Uno dietro l’altro, ininterrotti come le buche sulle strade di Roma. Lui ha dribblato anche quelli. Non ha mai alzato la voce, non ha mai inarcato il sopracciglio. Con la calma dei forti ha proseguito per la sua strada. “Vincente non è solo chi vince. Ma chi raggiunge l'obiettivo”, ha detto un giorno. Ma forse adesso non si accontenterebbe più.

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