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Ibrahimovic non se l'è sentita di sfidare il malocchio del numero 9 del Milan

Gino Cervi

Quanto sia triste vedere un centravanti che non la mette dentro mai, o quasi mai, lo sanno da molto, troppo tempo i tifosi rossoneri. Dopo Pippo Inzaghi pochi gol e tanti errori con la maglia che fu di Van Basten e Altafini

I numeri, nel calcio, sono importanti. No, non dico i “numeri”, quelli da circo estratti alla bisogna come una stentorea, ma ormai un po’ trita, didascalia dal vocabolario di un ben noto telecronista calcistico. Intendo quelli che i calciatori si mettono addosso. Importanti lo sono in verità sempre stati, o almeno a partire da quando, il 25 agosto 1928, i giocatori di Sheffield Wedsneday-Arsenal scesero in campo con le maglie numerate sulla schiena: dall’1 all’11 gli Owls e dal 12 al 22 i Gunners.

   

Pare che a sostenere la necessità di numerare le divise fosse Herbert Chapman, il leggendario tecnico dell’Arsenal, uno dei primi manager del calcio moderno nonché inventore del “sistema”.

  

In Italia le maglie numerate fecero il loro esordio nel campionato 1939-40. Per dire, Peppino Meazza, che tutti ci immaginiamo col 9, e poi col 10, giocava senza numero. Ma un numero ce l’avevano Puskas, che vestiva, nell’Ungheria e poi nel Real, il 10; e Alfredo Di Stéfano, che indossava il 9. Rivera, prima di essere associato al 10, vagò tra il 7 e l’8. Gigi Riva aveva l’11: e sulla maglia bianca del Cagliari quel doppio segno secco e ripetuto assomigliava a un’incisione preistorica, arcaica, nuragica.

  

A portare scompiglio ci pensò, neanche a farlo apposta, il più rivoluzionario della storia del calcio mondiale. Johan Cruijff un giorno di cinquant’anni fa, per cedere la numero 9 – con cui aveva fino ad allora giocato nell’Ajax – a un compagno, Sjaak Swart, che non trovava la sua maglia numero 7, s’infilò una maglia a caso, prendendola da una pila: era la numero 14. Quel giorno i lancieri vinsero 1-0, gol di Gerrie Mühren, e il “Profeta del gol”, anche in Nazionale, decise che avrebbe sempre giocato con quel numero. La Federazione olandese pare non fosse proprio contenta, ma il capriccioso Cruijff ebbe la meglio. Non ebbe la meglio con la Federazione spagnola, che gli impedì di vestire la 14 nei cinque anni a Barcellona: Johann riprese la 9.

  

La 9 è la maglia del centravanti, del cannoniere, del goleador. Anche dopo l’introduzione dei nomi dei giocatori sulle maglie – in Italia, nella stagione 1995-96 – e le relative bizzarre personalizzazioni “cifrate” che hanno fatto saltare la tradizionale numerologia, simbolicamente coltivata per decenni, chi veste la 9 “deve” fare gol. Se non lo fa, non è un bel vedere.

 

Quanto sia triste vedere un 9 che non la mette dentro mai, o quasi mai, lo sanno da molto, troppo tempo i tifosi del Milan.

   

Sì, perché, i numeri chiamano anche i sortilegi. Per esempio, la leggenda vuole che nel 1908 quarantaquattro soci fuoriusciti dal Milan Foot-Ball and Cricket Club fondarono la seconda squadra di Milano e lanciarono un anatema agli ex sodali: “Non vincerete mai più un campionato per tanti anni quanti noi siamo!”. In effetti, dall’ultimo scudetto dell’anno prima, 1907, al successivo, 1951, sarebbero passati esattamente 44 buie stagioni.

  

Ma un altrettanto funesto sortilegio si sia abbattuto sulla maglia numero 9 rossonera a partire dalla stagione 2011-12, l’ultima di Pippo Inzaghi, undici campionati, 300 partite e 126 gol in maglia rossonera. Dopo di lui, la carestia. Da quel mo’, la maglia numero 9 di Pippo (e ancora prima di Altafini, Sormani, Hateley, Van Basten, Weah…) sembra la tunica di Nesso.

  

 

Dapprima ci ha provato per pochi mesi Alexandre Pato a reggere il peso dell’ingombrante eredità. Risultato: dal settembre 2012 al gennaio 2013, 7 partite e 2 soli gol, prima di essere allontanato forse anche per motivi assai poco calcistici. L’inciuchimento del Papero, che fino a pochi anni prima era rampollato “a miracol mostrare”, originava più che altro dalla liaison dangereuse con un noto componente del CdA rossonero.

  

Dopo Pato, fu la volta di un cavallo di ritorno: il bell’Alessandro Matri, prodotto del vivaio rossonero, e felice realizzatore tra Cagliari e Juventus. Ma sui Navigli Mitra-Matri tornò con il caricatore inceppato: pochi mesi (settembre 2013-gennaio 2014), 18 partite e un solo gol. A settembre 2014 arrivò dal Chelsea il Niño Torres, ormai pallida comparsa della bionda freccia di Atletico, Furie Rosse e Liverpool: anche lui durò una manciata di match (10) e la miseria di una sola rete, e già a gennaio se ne tornava dai Colchoneros. Nel 2015-16 toccò a un brasiliano che era un insulto ad Altafini e Sormani: si chiamava Luiz Adriano e, nonostante il doppio nome, valeva meno di uno: 36 partite e 6 gol. La stagione seguente la maledizione si abbatté sul povero Gianluca Lapadula, una faccia simpatica e tanta buona volontà, ma giusto quella: 29 partite e 8 gol. 2017-18: la 9 finì sulle spalle di André Silva, promessa del calcio portoghese, strapagato dalla premiata ditta Mira-Fax: andò un po’ meglio, 40 partite e 10 gol, ma durò anche lui una sola stagione. L’anno dopo finalmente i milanisti pensarono che l’incantesimo potesse essere infranto dal Pipita: a sorpresa dalla Juventus arrivò Gonzalo Higuain, un 9 vero e certificato. Resistette, tra pinguedini e isterie, quattro mesi, dove a dire il vero tenne una media che, rispetto agli altri, era da hors-catégorie: 8 gol in 22 partite. A gennaio lo sostituì Krisztof Piątek, polacco pistolero, e finché vestì la 19 va quasi tutto bene. L’anno seguente sfidando la maledizione volle alleggerirsi le spalle di una decina: e dagli 11 gol in 21 partite passò a 5 in 20, tanto che a gennaio l’intristito “Venerdì” della Bassa Slesia se ne partì per Berlino per far spazio al grande ritorno di Ibra.

 

Dopo il tira-e-molla di queste settimane sul rinnovo del contratto, Ibra, con la consueta attenzione per la suspence, ha sciolto anche il mistero intorno al numero che avrebbe indossato per questa sua nuova avventura a braccetto col Diavolo. Quale migliore occasione per poter “sanificare” il povero e impestato numero 9 se non quella di affidarlo ai poteri taumaturgici – già più volte sperimentati – di re Zlatan?

 


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E invece niente. Ibra ha scelto la 11, lo stesso con cui i milanisti lo conobbero nelle due stagioni 2010-12, impreziosite dallo scudetto, l’ultimo e ormai lontano gustato dai tifosi rossoneri… Invece niente: anche l’incredibile, l’esagerato, l’iperbolico Ibra si arresta, perplesso, davanti all’incantesimo della numero 9. Sciagurato Zlatan!

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